Quali sono le cose che valgono veramente? Quali sono quelle che merita veramente di fare, di perseguire, quelle a cui tendere, alle quali impegnarsi? Le cose, i fatti, i pensieri, i ragionamenti, i comportamenti, gli esempi da privilegiare e, al contrario, quelli per cui non merita nemmeno spendere una parola, un pensiero, nemmeno un fugace giudizio fosse pure pieno di disprezzo. Gli anni passano e la mente rischia di perdersi nel mare di stimoli fasulli che ci sommerge. Possiamo resistere ed anzi maturare e trarre vantaggio dall'età solamente, prima riconoscendo, e poi aggrappandoci con tutte le nostre forze, a quello che veramente vale.

sabato 24 dicembre 2011

E' Natale

"Il Natale è una Festività religiosa ma dovrebbe essere anche una festività civile; infatti nella data simbolica del 25 Dicembre di ogni anno si celebra l'anniversario della nascita (e cioè il giorno natale) di Gesù, l'Uomo che salva il mondo".
Il periodo che ho riportato qui sopra sembra, a parte un presente indicativo che fa pensare ad un refuso, un enunciato scontato, evidente, quasi lapalissiano; ma non è così. Penso pertanto che meriti approfondire quella frase in modo da riuscire a riconsiderare il Natale alla luce di ciò che è e non di ciò che è diventato, nella speranza che questo ci aiuti a riconoscere in questa Festa la celebrazione di uno dei due giorni più importanti e determinanti (l'altro fu quello della Resurrezione di Gesù) dell'intera storia dell'Umanità.
1- Il Natale (anzi: il Santo Natale) è l'anniversario di una nascita.
Sgombriamo quindi subito il campo dagli orpelli consumistici che da qualche decennio cercano (sempre più spesso riuscendoci) di spogliarlo da qualsiasi aggancio alla Storia nel tentativo spasmodico di renderlo una festa globalizzata, approvata da tutti e dedicata a tutti; una festa di esaltazione consumistica avallata, reclamizzata e identificata da falsi testimonial, gadget di fantasia, innocui ma alienanti, senza alcun rapporto con fatti reali, documentati e fermamente ancorati nella realtà storica.
Il tentativo di scardinare una tradizione secolare di devozione popolare come quella del Presepe sostituendo la figura di Colui che dovrebbe essere il protagonista assoluto della festa (che è semplicemente la ricorrenza della Sua nascita) con quella debordante, invadente, sguaiata e anacronistica di un rubizzo e grassottello vecchietto dagli occhietti ammiccanti (chissà perché) vestito di rosso (perché poi..) che abita in Lapponia (?) e porta regali ai bambini (perché?) volando di notte per il cielo a bordo di una slitta trainata da renne volanti... (basta, basta, per carità!), è giustificato (si fa per dire) dal bisogno di vendere regali di ogni forma, qualità e prezzo ad ogni persona del globo a prescindere dalla sua età, dalle sue possibilità e persino dalla sua religione o dal suo essere agnostico o ateo. Insomma, per far affari ad ogni costo si manipolano i bambini, si crea una mitologia assurda, irreale e pacchiana con il vecchietto (chiamato senza alcun motivo "Babbo Natale"); le renne, la neve, le mutande rosse, i gingolbells e tutta la paccottiglia tesa a distogliere l'attenzione dell'universomondo dal significato autentico, anche etimologico, dalla realtà storica e dalla stessa ragion d'essere della Festa che a questo punto potrebbe esser chiamata semplicemente e più opportunamente (e presto credo lo sarà): la "giornata di Babbo Natale" (o "del regalo", o "della neve" a prescindere che nevichi o meno).
E mentre il gadget kitsch della Coca-Cola (la figura del vecchietto cosiddetto Babbo Natale fu inventata agli inizi del secolo scorso per reclamizzare la famosa bevanda gasata) imperversa in ogni spot televisivo, in ogni jingle di supermarket ed in ogni pagina pubblicitaria, proprio stanotte, nella sua squallida grotta nasce, come allora, il bambin Gesù, che, mentre lo abbandoniamo e cerchiamo in ogni modo di dimenticarlo togliendogli anche la "sua" festa (togliamo Gesù dalla sua nascita! lo eliminiamo dalla Storia!), continua purtuttavia ad amarci e ad impegnarsi per la nostra salvezza.
2- Nasce l'Uomo che salva il Mondo.
Quale è il destino di un uomo? Qui la risposta è tragicamente, assurdamente, terribilmente facile, certa al di là di ogni ragionevole dubbio: la Morte. La sua morte; ineluttabile e, il più delle volte, terribile nelle modalità in cui avviene.
Ma se è così perché gli uomini continuano ad accoppiarsi, a riprodursi, a costruire monumenti, a fare testamento, a progettare astronavi, a cercar di progredire, ad affannarsi per lasciare traccia di sé?
La risposta è solo una: perché un giorno di tanti anni fa (il giorno del suo Natale) nacque Gesù e perché da quel giorno con noi c'è Gesù.
Se il mondo non Lo avesse conosciuto cosa si sarebbe potuto opporre, dato che l'Uomo è un essere dotato di intelligenza, ad un suicidio di massa della razza umana? A quale scopo avviarsi verso il decadimento fisico e la morte, a che scopo condannare i nostri figli allo stesso tragico destino, se la nostra vita consiste solo nell'esistere qui ed ora?
Il motivo è la Speranza; la Certezza della Speranza che Gesù ci ha dato. Da quel giorno che il bambinello nacque nella grotta per poi crescere, operare, patire, morire ed infine risorgere, tutta la prospettiva del genere umano è cambiata. Ora c'è un Dio che ci ama, un Dio che è venuto da noi e che resta con noi; un Dio che, tramite il Figlio Suo, Gesù, ci dice che "vale la pena di vivere e persino di morire" perché "morire si può" e senza rimpianti se la fine della nostra esistenza ci può aprire le porte della vita eterna.
Questa è la testimonianza di Gesù, il Bambinello che nasce ogni anno nella sua grotta di Betlemme e che ogni anno risorge nel giorno di Pasqua. Lui, con le sue parole, le sue opere e la sua vita offerta in dono per noi, ci salva. A Lui rendiamo grazie in questo giorno in cui si celebra il Santo Natale che ci ricorda la sua venuta tra di noi; Lui adoriamo e ringraziamo stupiti ed attòniti del suo amore. Gesù ci ama, Gesù ci salva allora come oggi, noi ed i nostri figli; il rubicondo giullare nato da una squallida operazione di marketing lasciamolo, per questa volta, fuori dalla porta, al gelo, con le sue stupide renne.

venerdì 25 novembre 2011

La Rivoluzione

Dunque, vediamo un pò di esaminare più da vicino la Grande Questione della nostra esistenza. 
Gli uomini nascono, crescono, decadono e muoiono; e tutto al di fuori e a prescindere da qualsiasi loro volontà. 
Non è questo che, in estrema sintesi, succede loro? E non è questo che, in estrema sintesi, succede a tutte le cose di questo mondo, mondo stesso (e Universo) compreso? 
Ma se fosse veramente così; semplicemente, assolutamente e solamente così, allora ci troveremmo di fronte a qualcosa di talmente assurdo che rasenta il ridicolo. Una assurdità che posso definire (usando la logica) "irragionevole". E poiché da ogni parte, specialmente da quelle che si autodefiniscono orgogliosamente aconfessionali, o agnostiche, o atee (posto che quest'ultimo aggettivo voglia significare qualcosa dato che, per negarla, riconosce l'esistenza di Dio) ci si raccomanda di restare sempre, in ogni ragionamento, nella sfera del razionale, lasciando perdere le professioni di fede o la "facile" (così la definiscono) adesione a verità rivelate ma che sfuggono al controllo dei sensi e della "Ragione", allora, considerando che la speculazione "logica" è indubbiamente la qualità umana più ragionevole, posso definire "assolutamente illogica" una definizione dell'esistenza che consideri solamente composta da questi dinamici e inevitabili accadimenti successivi (e quindi senza altre variabili che non siano questi 4 postulati incontrovertibili) la vita degli uomini.
Perché mai gli uomini avrebbero sviluppato la ragione, e quindi la possibilità di sviluppare ragionamenti logici, se poi questa qualità si dovesse arrestare alla semplice constatazione di essere, ognuno di noi, oggetto di una nascita decisa altrove, di una crescita ed un decadimento inarrestabili e di una morte certa, ineluttabile e definitiva? Una qualità o un attributo servono per essere usati. Come si giustifica che a noi si chieda di abdicare a ciò per cui siamo stati nominati e a rifugiarci in una constatazione di disperazione talmente semplice e terrificante che potremmo esser nati piante, o rocce o animali per elaborarla, salvo la "piccola" differenza che noi, e solo noi nell'Universo-Mondo, "conosciamo" il nostro destino e quello che ci attende.
Ma noi non siamo animali. Non siamo piante, né rocce né siamo assimilabili o confrontabili con qualunque altro essere animato o oggetto inanimato che esista, qui od in ogni altro luogo.
Noi possiamo pensare. Noi possiamo ragionare. E noi "dobbiamo" ragionare perché infine esistiamo solo per questo.
La prima cosa che gli uomini hanno accertato, l'unica della quale si sono sentiti assolutamente sicuri fin dai primordi della lor venuta su questa Terra; prima che si costituissero in comunità sociali, prima di qualsiasi loro espressione "culturale" e contemporaneamente alla loro riconoscibilità come esseri pensanti è stata l'accettazione e l'adorazione di un dio. Nel momento stesso che il primo uomo ha detto, guardandosi intorno: "io sono qui", ha poi aggiunto e sottinteso: "e un dio mi ci ha mandato"; quindi ha proseguito "rendo grazie a dio" perchè (ha pensato sperimentando la morte): "dopo che sarò morto mi chiamerà a sé". 
La prima, originaria religione è nata con l'uomo; è nata "nell'uomo" senza alcun bisogno (ancora) di essere "rivelata" e comprendeva l'adorazione di un creatore e la certezza di una vita eterna dopo la morte come sapevano bene gli uomini delle caverne, e gli Etruschi e gli Egizi e tutti i popoli antichi. Gli uomini "sanno" al di là di ogni "ragionevole" dubbio di essere figli di un dio creatore dell'Universo, e "sanno" che la loro esistenza su questa terra non è altro che un passaggio "obbligato" a causa di una colpa collettiva, atavica e misteriosa. "Sanno" anche che la loro esistenza altro non è che una prova; un lungo doloroso e difficoltoso esame in cui la loro anima deve dimostrare di essere degna di poter finalmente entrare nell'altra vita, nella pace, nella felicità della riunificazione con il loro dio. 
Tutti i popoli, le tribù, le nazioni, a prescindere dai tempi e dai luoghi in cui hanno vissuto hanno elaborato questo. Le prime esternazioni intelligenti della nostra razza, i primi elaborati "culturali", i primi documenti non sono stati altro che la testimonianza di questa consapevolezza (che siamo stati creati da un dio) e di questa certezza (che ci aspetta un giudizio ed una vita eterna dopo la nostra esistenza terrena).
E oggi, in piena epoca "moderna" (ma che diavolo vuol dire "moderna"? Tra duemila anni come si chiamerà quell'epoca: stramoderna, ultramoderna, o come?) c'è ancora qualcuno che parla di "progresso" (che, riferendosi soltanto a piccole modifiche utilitaristiche del modo di produzione e consumo di beni materiali, è assolutamente indifferente alla Grande Questione) e che dichiara (con sommo sprezzo del ridicolo) di mettere in discussione l'esistenza di Dio.
L'unica nostra salvezza, prima che una morte orribile, o ridicola, o squallida, o atroce ci precipiti nell'abisso di un Nulla che abbiamo evocato e suscitato, è quella di abbandonarci coscientemente, sicuri della nostra ragionevolezza e confidenti nella Sua Parola, nelle mani di Nostro Signore, che ci ama e non ci abbandonerà mai. Solo così daremo un senso alla nostra vita, solo così la renderemo "utile", solo così ci salveremo.

martedì 18 ottobre 2011

L'inizio della fine

E' stata Violenza. Violenza inaudita, incontrollata, ingiustificata. Violenza cieca, inconsulta, esagerata. Violenza immeritata, bestiale, stupida. Violenza contro sconosciuti, contro persone come me e te, contro chi passava da lì, o abitava lì vicino, o semplicemente cercava di opporsi (anche solo con la voce) all'insopportabile vista di tanta ferocia. Violenza prevedibile e prevista, violenza triviale, vile, forsennata, sguaiata; violenza contro tutto e tutti, violenza urlata, dichiarata; violenza senza opposizione. Solo violenza. Bruciano le auto dei cittadini che hanno parcheggiato lungo i marciapiedi percorsi dai sovversivi rossi; volano come stormi di passeri le pesanti pietre divelte dal selciato, ognuna delle quali in grado di uccidere un uomo; gruppi di teppisti mascherati sfondano i vetri dei negozi, bruciano i portoni dei palazzi, si accaniscono in cento contro uno contro i poveri poliziotti che disarmati, non possono che pregare di essere risparmiati, e di aver la forza (o la debolezza?) di non reagire.
Qualcuno del branco omicida, entra coraggiosamente in una cappella e si accanisce contro la statua della Madonna. La colpisce, la spezza, poi la getta in strada e la prende a calci; qualcun altro decapita e mutila il Gesù di un crocifisso appeso alla parete. La Madonnina straziata, derisa, odiata resta a terra, spezzata in più pezzi, la parte superiore ridotta ad un moncherino dove persiste, tragicamente, il mesto sorriso di Colei che non ha mai odiato nessuno.
Dolce Madre di Dio, aiutaci a resistere a queste ignominie; perdonaci dei nostri tremendi peccati, dell'aver costruito, generato, allevato, coccolato il seme del Male; chi ti ha ferito è simile a noi, è uno di noi e questa è una verità che nessuno può sottacere: siamo ormai sotto attacchi inauditi del demonio che genera in noi mostruose creature capaci di tanta bestialità.
Tu che hai sempre accettato la volontà del Signore, Tuo Figlio; Tu che sei il simbolo stesso della Pace, della Verità, del Perdono, della Bontà fattasi donna;... perdona chi ti ha brutalmente, immotivatamente mutilata cercando e sperando così di ferire, di offendere noi, tuoi Figli, che vediamo in Te l'immagine stessa di Gesù.
A me non resta che pregare e fremere in silenzio. La vista della Tua immagine spezzata e calpestata è l'immagine stessa dell'Odio. E se Dio è Amore l'Odio è la natura stessa del Demonio, del Principe di questo Mondo. 
Quando succedono cose come queste occorre trarne le conseguenze; i tempi sono maturi; come profetizza lo stesso Gesù Cristo queste cose devono avvenire prima che giunga il Regno del Signore. Preghiamo te, Dolce Madre Celeste; confidiamo in Gesù Cristo e ci apprestiamo ad assistere a fatti sconvolgenti nella sicurezza che anche queste cose altro non sono che il segno dell'imminente fine dei tempi. Ravvediamoci; e preghiamo.

mercoledì 12 ottobre 2011

La Crisi

La crisi. Se ne parla così tanto, a proposito e a sproposito, che mi vien da pensare che in fondo in fondo ci deve essere qualcuno da qualche parte che questa crisi la desidera, la incoraggia, la anela. Forse pensa di guadagnarci, forse pensa che il cambiamento che ne deriverebbe possa essere, tutto sommato, benefico.
Anche io, guardandomi attorno, avverto la crisi; l'annuso nell'aria, la percepisco, la subisco; anche io, soprattutto io, sono attaccato, contaminato, contagiato dalla crisi, dalla vera Crisi, quella che ci minaccia veramente, quella che ci attacca alla gola, quella che può davvero scuotere le nostre esistenze alle radici e poi progredire inarrestabile fino alla Distruzione del nostro "Mondo" (il nostro modo di vita, la nostra morale, i nostri valori, la nostra storia, le nostre radici, la nostra cultura, la nostra religione, la nostra etica, la nostra visione del mondo). Non si tratta però della crisi finanziaria e nemmeno della crisi economica che ne deriva (in gran parte). L'altra crisi, quella di cui parlano i giornali, quella contingente, ripetitiva, veniale, la crisi che trae origine da alcune nostre storture e da alcune condannabili avidità non può far "davvero" paura.
Da situazioni critiche di questo genere (e spesso ben peggiori) gli uomini si sono sempre riavuti e modificando alcuni aspetti tutto sommato marginali dei propri ordinamenti e dei propri regolamenti, sono sempre riusciti a ripristinare (e con pochissimi cambiamenti, a guardar bene) lo stesso vecchio, caro, collaudato, rassicurante ordine sociale.
Insomma si fa un gran parlare di rivoluzioni apocalittiche affermando che da esse il mondo è uscito cambiato dalle fondamenta; si è tirato in ballo il Rinascimento, la Restaurazione, la Rivoluzione Francese e quella Russa appigliandosi ai grandi cambiamenti inter-relazionali che questi processi storici, anche violenti, hanno prodotto nelle coscienze, negli usi e nella cultura dei popoli ma non ci si è mai soffermati abbastanza sullo specifico identificativo di questi cambiamenti il cui risultato è stato, abbastanza incredibilmente, la Stabilità di fondo che hanno garantito al nostro stile di vita, al nostro modo di pensare, alle nostre relazioni sociali, alla nostra cultura. Al nostro "Mondo". 
L'ultima vera, enorme, inaudita, Rivoluzione è stata la nascita, la parola, le opere, la morte e la Resurrezione di Nostro Signore; da allora il mondo che conosciamo ha proseguito la sua corsa tra i secoli in uno scenario di fondo (nonostante anche drammatici e vasti stravolgimenti "periferici") prevalentemente immutato (il Potere Civile e il Potere Religioso, la Famiglia, un Assetto Istituzionale Gerarchico, la Giustizia degli uomini, la separazione dei Poteri, il senso pervadente (anche quando non attuato) dell'Etica Cristiana). 
La Crisi che ci minaccia è invece qualcosa di completamente diverso e di nuovo, e ci coinvolge tutti; non dipende dai differenziali dei BTP, dalle oscillazioni delle Borse, dai declassamenti delle Società di Rating o dai prezzi delle materie prime; come ho detto non è una crisi finanziaria, né economica e nemmeno ideologica e non è una crisi che possiamo pensare di superare con le nostre sole forze. Essa è già qui; è con noi, tra di noi, in noi, e ci sta distruggendo avvalendosi di armi inaudite che spingono ineluttabilmente proprio noi, i maggiori beneficiari dei loro tesori, a mettere in discussione e a disfarsi delle stesse fondamenta sulle quali abbiamo potuto costruire la nostra civiltà.
La istituzione Famiglia è ormai moribonda e prossima alla fine, colpita a morte da un permissivismo sessuale inaudito, dagli egoismi, da sempre più diffuse e devastanti politiche dissuasive.
Lo Stato è in discussione. Rinunciando ai suoi compiti di garante della sicurezza, della salute, del lavoro e del benessere dei suoi cittadini esso si comporta come un Ente vessatorio e non riconosciuto del quale sembra legittimo contestare l'utilità.
E' sotto attacco, oltre a tutta la gerarchia ecclesiastica, la stessa Religione Cattolica, che viene sbeffeggiata e contestata ed il cui messaggio di pace, tolleranza e solidarietà, non viene più recepito: intanto altre aggressive religioni, colmando il vuoto prodottosi nelle coscienze, avanzano minacciose portando con sé, sinistri messaggi di intolleranza e di violenza.
E' in discussione Dio stesso.
Io so che questa Crisi (se vogliamo chiamarla così) è, come tutte le cose che sono accadute, che accadono e che accadranno, solamente "permessa" da Dio e che al termine del tempo il Signore sprofonderà definitivamente il Principe del mondo nell'Abisso, ma è duro, e lo sarà ancor più per i nostri discendenti, sopportare quello che oggi avviene: il (temporaneo) prevalere di Satana sul mondo.
Signore, Dio mio; non permettere che il Male distrugga il tuo popolo. Abbi pietà di noi e dei nostri figli; auspicando e pregando che sia fatta la Tua volontà, chiediamo la Tua misericordia nella certezza che, alla fine, sarai per tutti noi, e per l'eternità, il Vincitore.

sabato 8 ottobre 2011

Preghiera

Insegnami a cercarti e a mostrarti a me che ti cerco. Io non posso cercarti se tu non m’insegni, né trovarti se tu non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti, che ti desideri cercandoti, che ti trovi amandoti, e che ti ami trovandoti.
Sant'Anselmo

mercoledì 21 settembre 2011

Giuda

Tutti conoscono Giuda: Giuda è colui che tradì Gesù. Giuda è colui che consegnò Nostro Signore nelle mani dei suoi carnefici. Giuda è eponimo e simbolo del Tradimento, dell'Ingratitudine. Giuda, figlio del peccato, è la possibilità del Male fattasi Realtà del Male.
Giuda però è anche Colui che, "dando inizio" alla Passione ha permesso a Gesù di rivelarsi (con la Crocifissione e la successiva Resurrezione) come Figlio di Dio dando, così, la Speranza agli uomini.
Giuda è quindi uno strumento di Dio; odioso, vituperato strumento, ma essenziale nella vicenda umana (che si trasforma in divina) di Gesù.
Gesù stesso, in vari modi e in vari passi del Vangelo, evoca Giuda: essendo Dio Egli è onniscente e onnipotente e sa che ci sarà bisogno di Giuda per portare a compimento la sua missione.
La personalità poi di questo Apostolo traditore è di quelle che suscitano innumerevoli interrogativi.
Si legge (solo nei Vangeli sinottici, per la verità) che Giuda tradisce per denaro ma poi, distrutto dal rimorso, getta a terra i denari così turpemente guadagnati tanto  e corre ad impiccarsi, consapevole e lacerato dalla colpa di cui si è macchiato.
Allora non si tratta di un uomo completamente perduto; allora si tratta di un uomo che conosce il rimorso, si tratta di un uomo che comprendendo l'enormità di quello che ha fatto, riconosce dandosi la morte, prima degli scribi, dei farisei e dei sacerdoti, la divinità di Colui che ha tradito.
Giuda compare prepotentemente nel racconto evangelico nel momento in cui prende forma il suo tradimento: nella scena dell'Ultima Cena, ed è interessante vedere come gli Evangelisti raccontino in maniera diversa il succedersi dei fatti che lo riguardano.
Esaminiamo i fatti (la lettera del Vangelo).
Mentre i tre vangeli sinottici (Matteo, Luca e Marco) narrano della decisione di Giuda di tradire Gesù "prima" dell'Ultima Cena ("...la festa degli Azzimi.. si avvicinava.... Satana entrò in Giuda, chiamato Iscariota...che andò a conferire con i sacerdoti... sul modo di consegnarlo nelle loro mani" LUCA, 22) e, successivamente (durante la Cena), della rivelazione di Gesù che sarà proprio lui, Giuda, a tradirlo ("..ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me, sulla tavola" LUCA, 22, 21), il Vangelo di Giovanni racconta i fatti in maniera completamente diversa.
In Giovanni non vi è traccia alcuna di un'ispirazione diabolica su Giuda avvenuta prima della Cena, né del fatto che questi avesse patteggiato il prezzo del suo tradimento.
Giovanni (che dei quattro evangelisti, almeno in questo contesto, è il più affidabile essendo egli non solo presente all'Ultima Cena, ma addirittura Colui che sedeva accanto a Gesù e che, sul tema del preannunciato tradimento, potè interrogare direttamente il Cristo), racconta che Gesù, ad un certo momento durante la Cena "fu turbato nello spirito e... dichiarò così: - In verità vi dico che uno di voi mi tradirà" e, spinto da Pietro a chiedergli che questi fosse"... ".. Gesù rispose: è quello al quale darò il boccone dopo che l'avrò intinto. E intinto il boccone lo diede a Giuda... e.. il Diavolo entrò in lui."
Mentre i sinottici raccontano di un Giuda che, corrotto dal diavolo, decide di tradire Gesù, Giovanni ci dice che fu Gesù, indicando in Giuda il suo immanente traditore, a permettere che il diavolo entrasse in lui.
Secondo la narrazione che Giovanni dà dell'episodio, la divinità di Gesù è conclamata in modo evidente (è Lui che - in quanto Dio - permette al Diavolo di tentare Giuda) e, in una certa misura, la colpa di Giuda è diminuita grandemente (infatti viene "scelto" come traditore da Gesù stesso, e questo affinché si adempiano le Scritture).
Insomma, Giuda, esecrato ed esecrabile davanti al mondo e alla storia non poteva sottrarsi al suo destino di tradimento, e senza Giuda, senza un Giuda, la gloria di Cristo non avrebbe potuto essere rivelata.


sabato 10 settembre 2011

Un posto e un nome

L'uomo esiste solo per qualche decennio; un brevissimo periodo di tempo dopo il quale, come prima del quale, non lascierà traccia persistente del suo passaggio nel mondo. Nel giro di due o tre generazioni, per la stragrande maggioranza degli esseri umani verrà perso ogni ricordo; nel giro di due secoli non ci sarà nemmeno una tomba che li ricordi e, solo in casi rari e straordinari alcuni di essi potranno sperare di essere ricordati (ma solo per le loro opere) anche se di essi, come per tutti gli altri, si perderà la conoscenza di chi erano in vita.
Inoltre, per tutta la sua esistenza, le stagioni dell'uomo saranno contrassegnate dalla consapevolezza di non poter far altro che percorrere un sentiero già noto, di non poter che eseguire, una dopo l'altra e con pochissimi cambi di programma, tutte le tappe che segnano il progredire del suo cammino e l'avvicinarsi della fine: l'apprendimento, il gioco, lo studio, il lavoro, l'innamoramento, la procreazione, la vecchiaia, le malattie, la morte.
Con il passar dei millenni e a prescindere dalla latitudine, dalla cultura, dall'etnìa, dalla classe sociale, dalle ideologie, dalla religione e dall'epoca storica, e nonostante il cosidetto Progresso (che non è altro che un procedimento storico-sociale che, perfezionando l'esistente, modifica solo la marginalità e l'utilitarismo del vivere lasciando immutata la Natura Umana), questa condizione non è mai cambiata.
Poste queste premesse, se c'è un motivo che impedisce agli uomini di suicidarsi non appena abbiano raggiunto l'età della ragione, questo non può essere altro che l'assoluta consapevolezza (più che la speranza o la certezza) che la loro essenza NON FINIRA' con il termine della loro esistenza, o meglio con quella catastrofe fisica che chiamiamo (impropriamente) morte.
L'Uomo, conscio della sua essenza extra-naturale, deve quindi essere consapevole che l'unico motivo che giustifichi la sua esistenza è accettare la prova alla quale è chiamato a partecipare e a superarla.
E qui non si tratta di condizioni diverse da uomo a uomo. Che uno nasca ricco e passi la sua vita tra gli agi, che uno nasca povero e debba superare mille ristrettezze o che uno, magari per una scelta estrema o per una casualità esterna, passi tutti i suoi giorni letteralmente FUORI dal mondo come ad esempio un trovatello che adottato da religiosi trascorra la sua vita senza mai uscire dal convento, o un malato che passi la sua vita da infermo in un letto di ospedale ebbene, in tutti i casi, un uomo, con la possibilità di pensare, PUO' giungere alle stesse conclusioni: che esiste per volontà di un Essere Supremo, che possiede una coscienza, che la sua vita non finirà con la fine della sua esistenza.
Questo fatto (l'indifferenza della conoscenza di Dio dalle condizioni fisiche, sociali, culturali, religiose, storiche e ambientali), lungi dall'essere una semplice constatazione E' UNA PROVA dell'esistenza di Dio; un DIO che ci ha creati, che ci ama e che desidera che lo riconosciamo per darci il dono più grande che potessimo mai sperare di ricevere: l'immortalità. 
Promette il Signore: "Io darò loro un posto e un nome" e non c'è promessa più importante per un uomo. Tutto quello che vogliamo infatti è avere una identità: non possiamo tollerare l'oblio che è la vera morte, la vera fine. Ben al di là della disperazione per una vita senza senso che culmina con una morte definitiva e la nostra scomparsa perfino dai ricordi degli altri umani c'è Dio che ci promette una vita eterna dove saremo identificati personalmente, affinché Egli ci possa amare collettivamente (come genere umano) ma anche uno per uno (come persone).
Non c'è altra salvezza che DIO: avviciniamoci a Lui con gratitudine, con speranza e con amore e LUI non ci abbandonerà MAI.

mercoledì 31 agosto 2011

La scrittura di Dio

L'intera storia di Gesù, come ci viene narrata dai Vangeli, è la storia di un Uomo (l'Uomo) che, essendo Dio, non cessa un solo istante di preoccuparsi di portare la Parola del Padre che lo ha mandato (e con essa la Salvezza) a tutti gli uomini (fermo restando che saranno solo quelli "di buona volontà" ad avvalersene). In ogni parola, ogni gesto, ogni parabola; nella motivazione di ogni evento miracoloso che Gesù compie, nel meraviglioso monologo della Montagna, nell'eroico atteggiamento di fronte al supplizio e nell'umanissima accettazione della morte, Gesù non cessa un attimo di proporre il suo insegnamento, lucido, coerente, inflessibile, agli uomini. Ogni sua parola è indirizzata al fine della salvezza dell'Umanità, ogni suo comportamento tende ad un solo scopo: proporsi come il Messia, Colui che rinnova, Quello che apre la strada, il Pacificatore, Colui che, unico nell'intero panorama della storia, può dare, anche quando tutto sembra perduto, la Speranza.
Dai Vangeli tutti, anche dal Vangelo di Giovanni che è indubbiamente quello che si occupa meno della cronaca degli avvenimenti terreni e più dell'insegnamento divino di Gesù, emerge la biografia di un Uomo straordinario, un Uomo dotato di una coerenza adamantina, di una Perfezione che lo rende immediatamente, a chiunque lo osservi da un punto di vista non prevenuto, straordinario. Dalla lettura e dall'esame approfondito dei Vangeli, emerge con stupefacente chiarezza che un Uomo come Gesù non c'era mai stato e, dopo di Lui, non ci sarà più fino alla "fine del mondo", nel giorno del Giudizio, quando Gesù verrà, alla destra del Padre a giudicare i vivi e i morti.
C'è però un momento, ed è un momento unico ed inaudito in tutti i Vangeli, in cui Gesù nasconde il suo pensiero e, benché non interrogato al riguardo, evita di fornire una spiegazione ad un atto che rimane, per il lettore e per lo stesso evangelista, segreto o meglio, misterioso.
L'atto in questione è narrato da Giovanni, quando parla dell'episodio della lapidazione dell'adultera, ed è un atto talmente insolito da sembrare estraneo allo stesso Vangelo. Purtuttavia è un atto divino (essendo compiuto da Gesù); come tale ha una sua ragione ed un suo significato preciso e richiede, quindi, una riflessione.
Vediamo allora cosa scrive Giovanni (GIOV; 8: 6-8):
"...(i farisei) gli dissero: "Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare tali donne: tu che ne dici?" Dicevano questo per metterlo alla prova, per poterlo accusare. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere con il dito in terra. E siccome continuavano ad interrogarlo, egli si alzò e disse loro: "Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei". E chinatosi, di nuovo, scriveva in terra."

Indubbiamente si tratta della cronaca precisa fino ai dettagli di un fatto drammatico: una donna viene portata in giudizio perché sorpresa in  flagranza di reato (adulterio). La Legge (di Mosè) "comanda" (addirittura) di lapidare le donne colpevoli di questo delitto e i farisei (pretestuosamente) domandano a Gesù quale è il suo pensiero in proposito. Gesù non risponde direttamente, non si sente chiamato in causa come persona, comprende le motivazioni di tale domanda e risponde, come spesso fa, in maniera indiretta ma assolutamente esaustiva rispetto alla "natura" della domanda stessa. Risponde da Dio quale Egli è, con un precetto, un ordine che è anche un motivo di autoriflessione amara sulla stessa condizione umana. Gli uomini, in quanto peccatori (e anche i farisei confusi, non potranno obiettare a questo) non sono giustificati a giudicare i peccati altrui. Il giudizio spetta solo a chi E' senza peccato: a Dio. La risposta è di tale portata che pone fine immediatamente al contendere dialettico tra le parti. Gesù ha vinto ancora: le Sue parole prevaricano e superano in altezza e in profondità ogni cognizione umana; Egli, ancora una volta, ha confuso i peccatori nascosti e ha salvato la peccatrice svelata, l'adultera annichilita dalla colpa, distrutta dalla certezza della condanna, salvata dalla compassione divina. Lui è Dio fattosi uomo e sa come parlare agli uomini.
Ma c'è l'aspetto inspiegabile e straniante (come una fuga per la tangente dalla mera cronaca dei fatti) delle Sue parole "scritte" per terra. Nessuno riesce a leggerle, nessuno sa cosa c'è scritto. L'atto è importante: Gesù scrive proprio nell'imminenza della sua risposta come se ci fosse una relazione, un rapporto di causa effetto tra ciò che scrive e la risposta che dà. E anche dopo la sua risposta ("Chi è senza peccato..."), di nuovo, chinatosi a terra, continua a scrivere. Giovanni non commenta questo atto ma, anche se lo ritiene della più grande importanza (importante al punto dall'averlo citato, per ben due volte, e con il massimo risalto possibile, nel suo Vangelo) non lo commenta e non procede oltre.
Come è possibile? Gesù scrive e nessuno legge o riporta le sue parole! Nessun commento su questo avvenimento eccezionale (si tratta selle uniche parole scritte da Gesù in tutti i Vangeli), al punto che il fatto che Dio fattosi uomo si china per terra e scrive di propria mano (col dito) alcune parole misteriose, può passare per un refuso logico, una stranezza letteraria, una anomalia dei traduttori.
Io non penso che sia così. Giovanni non cita le parole che Gesù scrisse per terra perché tali parole "erano incomprensibili" agli uomini: in esse c'era addirittura il mistero dell'esistenza e della condizione umana. Ricordiamoci che esse vengono scritte nell'imminenza di una crudele esecuzione capitale, in un contesto altamente drammatico che poteva sembrare senza alcuna via di uscita. Gesù, in quanto Dio, illuminando con la Parola del Signore le coscienze dei Farisei salva la peccatrice, così come, con la sua Parola salverà ognuno che voglia riconoscerlo come Dio, ma il mistero della colpa e del peccato è ancora indicibile: viene comunicato ma non può ancora essere espressamente svelato. E le parole scritte sulla polvere, portate via dal vento, non possono essere ancora rivelate. Ma c'è ancora un aspetto da chiarire. La scrittura di Dio non è concepibile, meglio è inaccessibile, ai mortali e non può essere che così. Nella doppia natura umana-divina di Gesù, la scrittura "ermetica" di Cristo rappresenta ancora una volta il suo essere Dio; come tale Egli ci aspetta alla fine di questo tempo quando alla Sua presenza, nella nuova Vita, nulla ci sarà taciuto; tutto ci sarà svelato.

lunedì 22 agosto 2011

Tornando a casa..

La Via del ritorno è lunga e piena di insidie. Uno potrebbe pensare di conoscerla già; dopotutto l'abbiamo già percorsa altrimenti non saremmo qui adesso, ma il fatto è che è passato talmente tanto tempo e siamo stati talmente distratti, contaminati o sviati dai mille stimoli e dalle mille insidie con i quali abbiamo dovuto (e dobbiamo) confrontarci che, oltre a dimenticare i motivi, le ragioni e il significato di questo nostro viaggio, ci siamo scordati anche la strada da fare per poter tornare, salvi, da dove eravamo partiti, tanto tempo fa.
La Porta..
Anche se lunga e pericolosa, nessuno può evitare di farla quella strada; nessuno può evitare di dover suonare, ad un certo punto, ad una porta: alla Porta; nessuno può evitare di essere scrutato con un esame talmente approfondito che ci metterà a nudo al punto che niente potrà essere tenuto nascosto, niente potrà essere taciuto.
Lo so, Lui troverà tante macchie nel mio vestito che ostentatamente conservavo bianco là dove si posavano gli occhi degli uomini ma del quale non potevo nascondere le vergogne davanti agli occhi di Dio; e lo so, non potrò giustificarmi in nessun modo di fronte al Suo sguardo.
"Come hai impiegato il tempo che ti è stato dato per compiere il viaggio?" mi sarà chiesto; e
"Cosa hai fatto dell'intelligenza che ti ho dato? Cosa hai tratto dai libri che hai letto, dagli uomini che hai conosciuto, dalla natura che hai osservato, dalle esperienze che hai compiuto?" Non potrò rispondere. Dovrei dire che ho passato il tempo che mi era stato dato per percorrere la Via in mille occupazioni futili, in mille pensieri inutili, dietro a religioni terrene tutte fallaci. Potrò solo tacere, restare a capo chino e confidare nella Sua immensa Misericordia. Potrò forse piangere, ripensando alle mille inutili ingiustizie che ho commesso, potrò rammaricarmi dei miei peccati, dei miei insanabili egoismi, delle innumerevoli ricadute che ho avuto ogni volta che potevo pensare di aver capito la Verità, la verità della nostra esistenza e di come tutta la nostra vita terrena non sia che un grande esame dal quale si esce promossi solo se si comprende che senza Gesù, e quindi senza Dio, la morte sarà irreversibile e la nostra strada si fermerà proprio davanti a quella porta che abbiamo voluto ignorare, la Porta che potrebbe salvarci solo se, bussando, ci sarà aperto, la Porta della quale abbiamo perso, non tenendola in alcun conto, la chiave che ci era stata data, la Porta la cui apertura al nostro passaggio era, ora lo sappiamo, l'unica ragione per aver intrapreso il cammino.

lunedì 15 agosto 2011

Lo specchio rotto

Nel marasma che spesso obnubila la nostra mente è difficile riconoscere ciò che è vero e ciò che vero non è. Lo stesso Gesù mise in guardia i suoi discepoli rispondendo alla loro domanda quando gli chiesero, come presagendo un pericolo: "Maestro, come faremo a riconoscere se chi ci insegna in tuo nome è in verità un millantatore?". L'immediata risposta di Gesù (Gesù non ha mai dato risposte; esso risposte, valide in qualunque tempo, per ciascuno di noi) non lascia scampo a elucubrazioni mentali o a interessate interpretazioni ideologiche: "Li riconoscerete dalle loro opere". Gesù aveva già espresso lo stesso concetto che potrei definire "empirico" (nel senso migliore del termine) quando aveva detto che da pianta cattiva non possono venire buoni frutti. Solo osservando le opere che ha fatto o che ha provocato chi ci si propone come maestro potremo capire se esso parla veramente in nome di Gesù, unico punto di riferimento, unica pietra di paragone per discernere il bene dal male, il peccato dalla Grazia.
E' facile constatare (anche se può essere assai difficile ammettere) che, focalizzando la nostra attenzione sulle nuove religioni del secolo appena trascorso: le ideologie, nessuna di esse, a prescindere da quanto prometteva e dichiarava, ha dato al nostro mondo, buoni frutti. Anzi. Esse (le ideologie) hanno prodotto opere terribili fatte di guerre, sopraffazioni, carestie e violenze inaudite. Le loro parole d'ordine, le loro "predicazioni" possono quindi razionalmente essere degne di costituire un modello al quale improntare il nostro atteggiamento verso la vita? Indubbiamente no perché, nonostante quanto si proponevano ed affermavano, dovunque gli uomini o gli avvenimenti hanno dato alle ideologie l'opportunità di mettere in pratica la loro visione del mondo, questa si è rivelata un sanguinoso fallimento. Le ideologie e gli ideologhi sono quindi Falsi Maestri; seguirli vuol dire andare verso la perdizione.
Il problema, la particolarità e anche il dramma dell'Uomo è che però, nonostante tutte le evidenze, per un processo innaturale ma incubato profondamente nella sua natura umana, egli si rifiuta spesso di trarre conclusioni persino dalla propria mente ed invece di portare a termine i processi logici (se non vogliamo parlare di Fede) verso la loro logica conclusione, si affanna ad eluderli, a evitarli, a travisarli pur di combattere la parola di Dio. L'Uomo arriva al punto di adorare i Falsi Maestri pur riconoscendoli falsi, pur di non compiere il cammino verso Dio.
Ecco ancora una prova incontrovertibile della presenza del Maligno sulla terra e quanto questa presenza possa depravare, oltre lo Spirito, persino la natura umana fino a condizionarne i processi logici, le relazioni causali, i giudizi da prendere.
Sotto l'influenza nefasta del Principe del Mondo, gli uomini divengono esseri divisi, schizoidi, per metà angeli e per metà bestie irragionevoli, una specie di minotauri irresponsabili consapevoli di seguire il Male e purtuttavia incapaci di sfuggirgli.
Il volto dell'Uomo come era, come potrebbe (e dovrebbe) essere in questa vita e come certamente sarà nell'altra che ci aspetta, è il volto sereno, compassionevole e sofferente di Gesù; quello che vede riflesso nello specchio al quale si affaccia per conoscere chi egli sia, è invece un volto sfregiato, diviso, irriconoscibile come se fosse riflesso da uno specchio rotto.
Bisogna ricomporne i pezzi, bisogna, con l'aiuto di Dio (senza il quale non possiamo far nulla), ricomporre l'immagine nostra e degli altri uomini quale era e quale può e deve tornare ad essere.

giovedì 11 agosto 2011

I segni dei tempi

Gesù disse ai farisei che gli chiedevano un segno dal cielo: "Quando viene la sera voi dite: - Bel tempo, perché il cielo rosseggia - ... L'aspetto del cielo lo sapete dunque discernere, e i segni dei tempi non riuscite a discernerli? Una generazione malvagia ed adultera chiede un segno e segno non le sarà dato se non il segno di Giona" e lasciatili, se ne andò. (MAT 16,3-4).

Sono, come sempre, rimasto colpito, e coinvolto, dalle parole di Gesù.

Gesù risponde ad ogni interrogativo, dissipa ogni dubbio, "esaurisce" ogni possibile domanda,  ogni tipo di domanda, ieri come oggi.
Cosa possiamo chiedere a Dio che non abbia già avuto risposta?
Un segno, chiedono gli uomini. Un segno che li conforti, che li rassicuri, che li convinca sulla direzione da prendere.. Ma i segni non sono la Verità, non sono una prova. Il cammino verso la Verità ognuno di noi lo deve intraprendere da sé. Gesù chiede continuamente una assunzione di responsabilità, un atto di buona volontà, un percorso da compiere personalmente affinché Lui ci scelga. Nessuno può essere salvato SE NON LO VUOLE.
Dio è pronto ad accoglierci ma ci chiede di riconoscerlo come nostro Signore; qualunque altro segno che possa influenzare la nostra decisione (riconoscere o non riconoscere Dio) ci è negato.
Dio ci ha dato la Legge, i Profeti e i Vangeli; Egli ha mandato Suo Figlio tra di noi affinché soffrendo e resuscitando testimoniasse il Suo amore, giustificasse le Scritture e potesse redimerci con la certezza di una vita eterna, al di là della morte, dove, spogliati di ogni peccato e redenti dal suo amore, potremo, SE LO VORREMO, vivere in eterno. La salvezza richiede da parte di tutti noi, una consapevolezza, una fatica, una scelta di campo.
Queste considerazioni, alimentate dalla lettura del Vangelo di Matteo, non ne impediscono altre, più attuali.
Riesco io a leggere il segno dei tempi? O meglio: cosa ci dicono i tempi che stiamo vivendo?

Ci dicono che è ora di cambiare il nostro atteggiamento, i nostri comportamenti, la nostra stessa esistenza. Bisogna cambiare strada se la strada che abbiamo fino a qui percorsa ci a portato fino a questo punto di abiezione. La fine del mondo è vicina, anzi, è già qui. Proseguire sulla stessa strada non potrà che portarci alla rovina. Bisogna ravvedersi! Il tempo che ci è concesso sta per volgere al termine e Satana si appresta a governare il mondo intero. Riconosciamo Gesù! Ricorriamo a Lui! Rinneghiamo i comportamenti criminali che causano la morte di chi li accetta e li pratica! "Chi non è con me, è contro di me" dice ancora Gesù: non è consentito stare ad aspettare, non ci è permesso evitare di schierarsi, chiamarsi fuori, procrastinare la decisione. E' già sera, fuori tutto sta già crollando e il cielo volge al nero e non ci sarà niente di buono per noi, senza Gesù.

martedì 9 agosto 2011

Senza di me...

Ho riflettuto molto su un passo del Vangelo che non cesso di richiamare alla memoria.
"Senza di me non potete far nulla"
Ad un certo punto, Gesù, dice agli apostoli: "Senza di me non potete far nulla" (GIOV. 15,6).
E' una dichiarazione che, se fatta da chiunque altro, sarebbe e dovrebbe essere senza alcun dubbio considerata inaccettabile, un atto di superbia assurdo e pieno di presupponenza; fatta da Gesù, si rivela scandalosa per i non credenti e vertiginosa per i fedeli, un attestato che, in sole sei parole, spiega l'impossibilità (e quindi l'inutilità) di vivere una vita senza di Lui, senza riconoscere in Gesù, Figlio di Dio, il Redentore di tutti gli uomini.
La nostra vita, se ha uno scopo (e noi crediamo che ne abbia uno, semplicemente "lo scopo"), lo può realizzare solo DOPO la morte. Il tempo della nostra esistenza, il passaggio su questa terra, è talmente breve e così contaminato dal peccato, che, in assenza di una fortissima Fede in una vita futura, ogni nostra azione, ogni nostro sforzo di lasciar traccia di noi, diventa inutile e (quindi) demenziale.
Ogni cosa che facciamo infatti non è altro che un investimento per il futuro. Operiamo per arricchirci, o per affrancarci dal bisogno, o per lasciar beni ai nostri discendenti o anche, perché il mondo (gli uomini) si ricordino di noi. Sia che costruiamo palazzi, o studiamo la vita degli insetti, o progettiamo astronavi; e sia che ci impegnamo nelle migliaia di attività che contraddistinguono l'umanità intera, il nostro sguardo è SEMPRE rivolto al futuro.
Ma noi sappiamo; l'UOMO SA, che dopo un brevissimo tempo che trascorre in un lampo, un tempo che è più corto del passo di una formica che si avventuri nel lunghissimo sentiero della storia, siamo destinati a scomparire. Cesseremo di esistere e con noi, in tempi diversamente brevi, scomparirà tutto ciò che abbiamo prodotto o che parli di noi, sia esso la nostra tomba, una semplice nota della spesa o la Piramide di Cheope. Nulla è eterno, sulla terra. E quindi, se non pensassimo ad un futuro FUORI, o AL DI LA' di questo mondo, ogni nostra opera, ogni nostra attività, sarebbe più stupida, inutile e folle dell'incomprensibile, instancabile ghirigoro che un pazzo disegna col dito, incessantemente, sulla parete.
Ma Gesù ci ha detto, ci ha mostrato, che la vita non finisce con la morte. La Vita eterna esiste! Vivremo un altra vita, più piena, appagata e libera dal peccato! Lui è venuto sulla Terra, si è fatto uomo, ha patito ed è morto. Ed è resuscitato per noi, perché potessimo accettare e potessimo testimoniare la Sua (e la nostra) Resurrezione. Non tutto finisce, per noi e per gli altri, con la nostra morte; possiamo dunque operare, possiamo agire perché ogni nostro agire ed ogni nostro operare HA uno scopo che è duplice: testimoniare sia la nostra Fede in Gesù che la nostra buona volontà, il requisito, il merito grande e unico che Dio ci chiede per concederci diritto d'asilo nell'altra vita.
Senza Gesù non possiamo (e non sappiamo) far nulla; con Gesù, il nostro operare diviene testimonianza di Vita.

mercoledì 3 agosto 2011

Il grande Corruttore

La scelta...
Perché quando nasce l'Uomo (tutti gli uomini) è fondamentalmente buono, indipendentemente da dove, da come e in che contesto venga al mondo? E cosa è che poi lo corrompe? Quale forza agisce su di lui per mutarlo da un essere innocente e intrinsecamente buono quale era in una vittima del peccato disposta a lasciarsi corrompere e a corrompere, a farsi depravare e a depravare essa stessa la natura e le persone con le quali viene in contatto senza nessuna remora, spesso senza alcun pentimento e, quasi sempre, divisa tra un dolorosissimo sentimento di vergogna e l'impossibilità di cambiare i propri comportamenti?
Pensandoci bene bisognerà concordare che deve trattarsi di una forza tremenda, eccezionale e, per noi, irresistibile, se riesce così in fretta e pressoché immancabilmente ad incidere tanto negativamente nei più profondi e reconditi meandri della psiche umana al punto di sconfiggere anche i tentativi dell'anima (che nasce buona e resta buona in ogni condizione) di ravvedersi e di tornare sulla buona strada.
Io lo so il nome di questa forza negativa che lavora senza requie per la distruzione dell'Uomo. E' il nome del Principe del mondo, il Principe del Male: Satana.
So anche che parlare esplicitamente di lui, il demonio, il diavolo, è oggi assai difficile; ogni ragionamento o discussione che tiri in ballo la sua presenza rischia, in un mondo che nega quelle che, incapace di spiegare o di contestare, chiama irrazionalità, di bloccare sul nascere ogni ragionamento, ogni tentativo di discussione, ogni ricerca seria sulla missione dell'Uomo e le sue vulnerabilità. Parlare di Satana e del suo rapporto antagonista con Dio e della guerra che ha intrapreso dal principio dei tempi contro l'Onnipotente relega infatti l'Uomo in una posizione subordinata nelle gerarchie universali mentre noi vorremmo e insistiamo e ci battiamo affinché l'Uomo stesso sia riconosciuto come Re del creato  inattaccabile da inconcepibili forze che definiamo ironicamente "non-naturali".
Siamo diventati talmente materialisti, privilegiamo talmente la razionalità che, quando la materia e la ragione non bastano a spiegare le nascoste evidenze del creato preferiamo smettere di cercare ed arretriamo dai ragionamenti che giudichiamo pericolosi se c'è il rischio che ci porterebbero dritti a Dio, alla sua natura e ai suoi rapporti col Male e con noi.
Ma è proprio il nostro cambiamento, via via che ci sviluppiamo e ci ambientiamo nel mondo, che ci obbliga (ci obbligherebbe) a riflettere. Passano i mesi, gli anni. Il bambino riconosce le persone intorno a lui, la casa, gli oggetti, i visi e le voci delle persone con le quali viene in contatto. E comincia ad amare. Ama tutto ciò che vede, tutto ciò che incontra. Sorride ai genitori, al suo gattino, ad una nuvola che passa nel cielo, alla bella girandola colorata che gira sopra la sua testa.. Dopo il terribile trauma delle sue prime ore dalla nascita, impara ad amare le carezze, a ricevere l'amore e a darne quanto può. Ama dare amore. Senza riserve e a tutti.
Passano pochi anni, il tempo per venire in contatto "consapevolmente" con quello e quelli che lo circondano, e il bambino cambia. Impara l'arte della bugìa, dapprima come gioco poi come strumento da usare, come vede fare ai grandi, per ottenere vantaggi o privilegi. Avverte il dolore dell'invidia, gli insegnano ad essere superbo, ad emergere, a sentirsi superiore agli altri. Diviene uno strumento dato in pasto alla società dovunque ne venga in contatto: all'asilo, alla scuola, per la strada, nel lavoro... Non conosce Dio: non vuole conoscerlo. E si corrompe. Il peccato, sparso ovunque per il mondo lo ha cambiato in un essere iroso, cinico, disposto al male e, soprattutto, disperato sul suo futuro che si rifiuta di indagare. 
Chi lo ha cambiato? Non certamente "altri uomini". Tale affermazione è illogica sotto ogni punto di vista; poiché i bambini nascono buoni e successivamente si corrompono, ci dovrebbe essere stato un momento in cui qualcuno, in un mondo di "buoni" avrebbe deciso "da sé" di corrompersi. Il ragionamento, anche solo sotto la luce della sola logica non regge: la corruzione è nel mondo da prima della venuta degli uomini e questo era noto a Dio che mandò l'uomo nel mondo come "punizione" per il suo peccato. Il mondo, da sempre, è stato il regno di satana e del peccato ed è il mondo ad aver cambiato "in peggio" l'uomo.
Non è la società ad averlo cambiato, non sono state le circostanze, né una non meglio identificata "sfortuna", né i cattivi amici, né le cattive letture. E' stato il mondo in cui "contro la sua natura" si trova a vivere, è stato il peccato che abita nel mondo e dal quale non vuole staccarsi anche se sa che la fine è vicina (è "sempre" vicina) e che, senza una "conversione", non ha strumenti per salvarsi.
Satana usa il mondo come campo di battaglia, e la cattiva volontà degli uomini (per i quali non c'è pace essendo questa riservata "agli uomini di buona volontà") come sua arma per cercare di combattere l'Onnipotente. In questa epica guerra, destinata a concludersi, lo sappiamo, con la vittoria del Bene, gli uomini sono le vittime colpevoli e consapevoli della propria rovina. Non possiamo evitare di prender partito. "Chi non è con me, è contro di me" ha detto Gesù fornendoci ogni strumento utile atto a salvarci. Lui ha creato l'Uomo come essere responsabile. E si aspetta, e pretende, che si faccia una scelta di campo, chiara, convinta e responsabile. Non saremo scelti fra gli eletti nostro malgrado; saremo salvi solo se faremo il primo passo. Dobbiamo schierarci dalla parte di Dio. Perché il tempo che ci rimane è poco e la Fine si avvicina.

mercoledì 6 luglio 2011

Perché è impossibile non credere (2)

Non ce ne dovrebbe essere bisogno (della ragione, intendo) ma per uomini come noi, nati e cresciuti nel più materialistico dei mondi possibili, quello di cercar indizi e prove “razionali” a conferma di convinzioni, di ipotesi e perfino di evidenze, è quasi un bisogno insopprimibile.

Anche nel caso della Fede in Dio, che per sua natura aborre i limiti dell’empirismo, della prova razionale e della speculazione dialettica, vorremmo trovare nella scienza, nelle formule, nei ritrovamenti archeologici, nell’indagine filosofica, nella medicina e nella biologia, la “rassicurante certezza” di essere nel vero.
Posso spiccare il volo, prima che faccia buio...
Ci sembra troppo poco convincente, forse un poco umiliante, dover riporre tutta la nostra fiducia incondizionatamente nelle Scritture e nei Vangeli e credere così, semplicemente e spontaneamente, solo perché (pensiamo, sbagliando) l’evidenza di ciò che non cade sotto i nostri sensi NON è semplice e spontanea, come potrebbe essere per i bambini che credono a ciò che dicono loro i genitori o i primi fraticelli che correvano a mettere in atto la parola del Santo di Assisi.
Non è così. Io credo perché sono, perché vedo, perché sento e perché leggo. Non voglio prove dell’esistenza di un Dio Creatore dell’Universo come non voglio prove sull’esistenza dell’aria: respiro e grazie a questo vivo; questo mi basta.
E non voglio riscontri sul fatto che Dio mi (ci) ama. Per salvarci, per redimerci, ha mandato Suo Figlio fra di noi, ed ha permesso che Egli fosse torturato, schernito e crocifisso per prendere su di sé i nostri peccati e aprirci all’immortalità.
Non voglio prove sul mistero della nostra origine perché SO che non è terrena. Gli uomini non sono fatti per abitare la Terra e la Terra non è fatta per ospitarli; è solo una dimora innaturale per l’Uomo che la sente come una prigione e non riesce ad integrarsi in quella che reputa una dimora provvisoria.
E l’Uomo, al mondo, in questo mondo, ci sta male. Non riesce nemmeno a nascerci, è completamente inetto; incapace di muoversi, alzarsi, nutrirsi, necessita di altri che si prendano cura continua di lui e senza una tale continua, totalizzante assistenza che si protrarrà per un tempo lunghissimo non sopravviverebbe una sola ora.
Nella Terra, che ci ospita noi malgrado, noi, che pur ci abitiamo, non riusciamo a stare. E mentre la nostra parte spirituale, extraterrena, ci si presenta già completamente formata (nessun progredimento morale, o filosofico, o etico dai primordi della Storia fino ad oggi), la nostra parte animale, terrena non ha pace e cerca continuamente (tramite un processo di esperienze successive, di modifiche e di adeguamenti chiamato progresso) un sempre nuovo assetto, un nuovo ordine sociale, un nuovo modo di essere accettata e di accettare il mondo dato che, viene intuito tragicamente, noi gli siamo (al mondo) alieni e lui (il mondo) non è la nostra ultima dimora. Insomma: siamo fatti per altro; per ben altro.
E non mi si parli di Darwin e della sua teoria, una dottrina che, se proviamo ad applicarla all’Uomo, dimostra clamorosamente tutti i suoi limiti. Non può esistere evoluzione tra l’istinto e la ragione, tra la materia e lo spirito. La scimmia continua a generare scimmie che, alla fine della loro vita morranno; l’Uomo, angelo corrotto e consapevole gettato in un mondo dove regna il peccato, intuisce ciò che Dio ha preparato per lui e, pur non riuscendo ad allontanarsi dal peccato, sempre anela all’immortalità.

lunedì 4 luglio 2011

Perché è impossibile non credere (1)

Non c’è bisogno di essere santi per aver fede. Si può aver fede in un Dio Creatore e Signore del Cielo e della Terra solo guardandosi intorno e riflettendo senza pregiudizi, e si può sperare nella vita eterna anche semplicemente guardandosi dentro e riflettendo, senza pregiudizi. Lasciando solo lavorare la nostra ragione; quella ragione che Dio ci ha dato perché la usassimo per superare le forze del male e credessimo in Lui.

Riflettiamo insieme.

Prima riflessione: Tutto è stato creato da Dio.

Molti (anche famosi) hanno affermato (e affermano) che Dio non esiste. Sono convintissimi di questo, scrivono libri e libri sull’argomento e presenziano dibattiti e trasmissioni televisive per dichiarare, in nome della Scienza (così pensano di zittire i credenti) o della Ragione (pensando di far piazza pulita di ogni obiezione), che un Creatore antecedente alla creazione non è mai esistito, che si tratta di una convinzione illogica, infondata e puerile. Sono talmente convinti delle loro idee che si dannano la vita per dimostrare che Dio non c’è e che dopo la morte non c’è che il Nulla.
A parte il fatto che la negazione di un Dio Creatore in un certo modo lo riconosce (come la parola “ateo”: senza Dio; se sento il bisogno di negarlo, la Sua presenza è evidente) non capisco tutto questo zelo per toglierci la Speranza.


Ma non può esser nato tutto “per caso”? (E’ stata questa, per secoli, la più seria (!) controproposta all’ipotesi di un Dio Creatore). A parte la demenzialità della domanda non posso fare a meno di chiedere: ma perché un caso si verifichi occorre che qualcuno o qualcosa lo provochi. O no? E chi avrebbe potuto provocare (e a partire da cosa) un caso capace di dar vita all’Universo? Un Dio? Ma se si è detto che Dio non esiste. No: non funziona. Ipotesi bocciata.

E se ne sono sentite altre di ipotesi sulla creazione, e tutte parecchio strampalate. Si è affermato anche che non c’è stato bisogno di creare alcunché dato che tutto “è sempre esistito”; che sogniamo tutto quello che vediamo; che noi e l’universo non esistiamo ma siamo sognati da alieni; che tutto è già finito, la fine del mondo c’è già stata e quello che vediamo non è che il “ricordo” o “l’eco” di qualcosa che non c’è più; che l’Universo e il Mondo sono stati fatti dal Gran Coccodrillo per avere un luogo dove potersi nascondere.. insomma, la mente umana è prodigiosa nell’ideare le più astruse castronerie mentali pur di non voler riconoscere l’evidenza che è semplicemente Dio.
Non siamo soli!

E’ dunque esistito ed esiste un Essere Creatore che, dovendo necessariamente “essere” già prima che tutto avesse inizio (che Lui desse inizio) è Eterno e, essendo autore della Creazione, che ha originato “tutto”, è, logicamente, Onnipotente.
Ma se possiamo e dobbiamo (come abbiamo visto) credere ad un Dio Eterno e Onnipotente come possiamo, noi umani, rapportarci a Lui? Cosa siamo per Lui? Siamo solo un’altra specie di animali, un altro aspetto “naturale” del Creato? E, se non è così, se siamo esseri “speciali”, perché viviamo nel peccato e nella miseria, e, se abbiamo un còmpito da svolgere, quale è quello che Dio ci ha assegnato?
E, se Dio si rivolge a noi, perché non sentiamo la sua voce? Perché non lo vediamo? Perché non lo comprendiamo?

Merita iniziare a porci delle domande; merita cercare delle risposte che riescano a convincere anche la nostra ragione. E’ una ricerca improcrastinabile e vitale; perseguire questa ricerca sarà lo scopo di questo blog.

r.m.

lunedì 27 giugno 2011

La Promessa e la Volontà

L’uomo, a causa di un peccato primordiale, è un essere corrotto, naturalmente incline al male. Sempre a causa della sua condizione di peccato è stato mandato sulla Terra, il Regno del Principe del Male, dove lo aspetta una vita breve, travagliata, penosa, costellata da eventi dolorosi, peccaminosi o squallidi e delimitata da una nascita involontaria e da una morte inevitabile: quale situazione potrebbe sembrare più disperata, più insensata, più atrocemente assurda?
Dio però, che ci ama, ostinatamente, insensatamente e immeritatamente, ci dice che possiamo cambiare il nostro destino, possiamo vincere il Male, possiamo sconfiggere la Morte solo che lo vogliamo. Qui si fa appello alla nostra volontà, la virtù dei forti, quella che permette di superare ogni prova, ogni limite.
E la Prova da superare è grande; anzi, è la più Grande che siamo o saremo mai chiamati ad affrontare quaggiù (e nessuno di noi potrà sottrarvisi): Dio ci promette che potremo salvarci (redimerci) se crederemo in Lui, il Creatore di tutte le cose “visibili e invisibili” ed osserveremo i suoi comandamenti.
Credere in un Dio onnipotente, immutabile, eterno, invisibile, imperscrutabile e incomprensibile (“Si comprehendis non est Deus”); potrebbe sembrare una impresa immane, un còmpito che supera ogni logica, una missione impossibile da svolgersi con le sole nostre forze.
Salire fino alle stelle.
Ma non siamo soli, c’è Dio con noi; Dio che ci ama e che ci fornisce gli strumenti per poterci, solo che lo vogliamo, salvare. E se il còmpito è improbo (sconfiggere il Male, il Demonio, la Morte, la legge naturale), gli strumenti sono formidabili, divini. Sono la nostra stessa ragione, la Fede, la Speranza, i Testamenti ed un Salvatore: il Figlio stesso di Dio che è venuto sulla Terra a patire e a morire per noi affinché ci possiamo salvare. Nessuno potrà morire se saprà fare uso di questi strumenti e d’altra parte nessuno potrà salvarsi SE NON LO VUOLE. Morire, fare della nostra vita un inferno senza senso, una prigione abietta e stupidamente inutile DIPENDE DA NOI; dare un senso alla nostra vita terrena ed aprire le porte a quella futura dipenderà solo da un nostro atto di responsabilità. Noi, con Dio, possiamo sconfiggere la morte; senza Dio saremo irrimediabilmente, stupidamente e irrazionalmente spazzati via dal mondo, dalla storia e dall’eternità e la morte, invece di aprirci le porte dell’Altra Vita ci sprofonderà, aborti mai completamente nati, nell’abisso disperato del Nulla.

r.m.

domenica 26 giugno 2011

Morti e sepolti

Ci sono verità che non hanno bisogno di essere rivelate; esse sono talmente evidenti che sono acclamate da ogni popolo, riconosciute da ogni civiltà, fin da quando l’Uomo ha dato notizie, alla storia, di sé. Da quando gli uomini hanno popolato la Terra essi hanno sempre reso grazie al loro Creatore. Si può dire che le prime consapevolezze che gli uomini hanno avuto, sia sprofondando lo sguardo negli abissi celesti nelle notti stellate, sia rimirando attoniti il volto di un loro simile avviluppato nell’abbraccio della Morte, sono state due: l’esistenza di un Dio e l’immortalità della loro anima. Prima di dotarsi di un linguaggio, di erigere un monumento, di fondare una città essi hanno reso grazie a Colui che riconoscevano e adoravano come loro Creatore e Signore ed hanno onorato i loro morti nei modi tipici di chi sa che il defunto ha solo intrapreso un viaggio, che non è scomparso per sempre. Non è esistito un solo agglomerato sociale, in ogni continente, in ogni epoca, che sia potuto svilupparsi e progredire “a prescindere” dalla sua fede in un creatore, sia stato esso un essere celeste, un idolo, una forza della natura, una potenza esoterica o comunque una qualunque forma degna di essere onorata e venerata. Un dio. E non è esistito un solo popolo, sia abitante di un piccolo villaggio che facente parte di una grande civiltà che non abbia sentito il bisogno di onorare i morti in forme che, tutte, presupponevano la certezza di “un’altra vita”. Intere civiltà sono conosciute solo grazie ai loro monumenti funebri e alle loro necropoli: nessun uomo, non ancora plagiato dalla storia  con le sue efferatezze logiche e le sue ignominie ideologiche, poteva pensare che, con la morte, sarebbe scomparso per sempre; nelle tombe si mettevano monete, monili e cibo che potevano essere utili nel lungo viaggio mentre i cadaveri venivano mummificati perché restassero il più possibile simili a quello che erano, quando sarebbero giunti al cospetto delle potenze dell’aldilà.
Gli uomini, non ancora civilizzati, “sentivano” ciò che ora si tende a voler cancellare, ciò che ora quasi ci si vergogna di dire; sapevano che erano figli di un Dio Creatore e che, con la loro morte terrena, la loro Vita non sarebbe finita.
Al di là della siepe...
E noi oggi siamo nelle stesse condizioni dei nostri predecessori. Solo, condizionati da mille concause, abbiamo perso il dono della semplicità e dell’evidenza e, in preda a mille dubbi, a mille vergogne e a mille paure, stentiamo a riconoscere ciò che c’è, che è davanti agli occhi della nostra mente con l’evidenza sfrontata di una verità incancellabile e, paurosi della presenza di un Dio onnipotente ma incapaci di dare una risposta diversa e soddisfacente, releghiamo tutto al caso o alle teorie più fallaci e strampalate.
Ma Dio c’è. E’ buono, è paziente, e ci aspetta…


r.m.

sabato 25 giugno 2011

La ricerca. Capitolo 1

Pochi anni spensierati, poi subito a darsi da fare. Trovare una compagna (o un compagno). Fare un figlio. Accudirlo, svezzarlo, educarlo, farlo diventare grande senza mai smettere di amarlo. Vedere come cresce, come si fa strada nel mondo o come soccombe sotto i colpi del demonio. Sentirlo sempre più distante, sempre meno presente mentre il tempo passa e cominciano le debolezze, le malattie, le solitudini. Soffrire poi, e poi morire sapendo che il nostro figlio e i suoi figli e i figli dei suoi figli avranno lo stesso immutabile destino fatto di beota incomprensione degli eventi, di supina, disperata accettazione, maledicendola, della morte.

Questa è la vita, quella che chiamano Vita, di coloro che non accettano Dio.
Ma di vita non c’è traccia in questo personale universo di disperazione; solo dolore, mortificazione, insensatezza, tristezza.. un lungo incubo, una lunga tortura che terminerà nel Nulla.

Vale vivere per una vita come questa? Cosa ci impedisce di suicidarci in massa? Cosa permette che si continui a mettere al mondo dei figli? E perché impegnarsi in un lavoro, un’Arte, una qualsiasi occupazione che durerà appena il tempo necessario perché noi e i nostri contemporanei ce ne andiamo?

La risposta è una sola ma è una risposta che risponde a tutte le domande, che giustifica qualunque nostro impegno, che ci permette di amare i nostri figli e il nostro prossimo; una risposta che dà valore ai nostri pensieri e ai nostri sentimenti, che offre, in definitiva, una Grande Speranza; di più: una Certezza di sopravvivere alla Morte. La risposta è Dio. La testimonianza, la prova regina è Suo Figlio: Gesù.
Non solo tenebre...

Il Valore che diamo alla nostra Vita deriva solamente dal fatto che riconosciamo la Parola di Dio e la Testimonianza di Gesù. Senza di esse siamo morti, anzi, non dovremmo nemmeno essere nati, la nostra nascita essendo solo un Atto d’amore di Dio, teso alla nostra Vita.
Senza Dio, senza Gesù, non c’è niente che vale nel nostro mondo, ed è inutile cercare di dare un senso alla nostra vita che resta, indecifrabilmente e tragicamente, senza alcun senso.
Ma non è così. Voglio dimostrare, a me e a chi mi legge, perché non è così.

r.m.