L'uomo esiste solo per qualche decennio; un brevissimo periodo di tempo dopo il quale, come prima del quale, non lascierà traccia persistente del suo passaggio nel mondo. Nel giro di due o tre generazioni, per la stragrande maggioranza degli esseri umani verrà perso ogni ricordo; nel giro di due secoli non ci sarà nemmeno una tomba che li ricordi e, solo in casi rari e straordinari alcuni di essi potranno sperare di essere ricordati (ma solo per le loro opere) anche se di essi, come per tutti gli altri, si perderà la conoscenza di chi erano in vita.
Inoltre, per tutta la sua esistenza, le stagioni dell'uomo saranno contrassegnate dalla consapevolezza di non poter far altro che percorrere un sentiero già noto, di non poter che eseguire, una dopo l'altra e con pochissimi cambi di programma, tutte le tappe che segnano il progredire del suo cammino e l'avvicinarsi della fine: l'apprendimento, il gioco, lo studio, il lavoro, l'innamoramento, la procreazione, la vecchiaia, le malattie, la morte.
Con il passar dei millenni e a prescindere dalla latitudine, dalla cultura, dall'etnìa, dalla classe sociale, dalle ideologie, dalla religione e dall'epoca storica, e nonostante il cosidetto Progresso (che non è altro che un procedimento storico-sociale che, perfezionando l'esistente, modifica solo la marginalità e l'utilitarismo del vivere lasciando immutata la Natura Umana), questa condizione non è mai cambiata.
Poste queste premesse, se c'è un motivo che impedisce agli uomini di suicidarsi non appena abbiano raggiunto l'età della ragione, questo non può essere altro che l'assoluta consapevolezza (più che la speranza o la certezza) che la loro essenza NON FINIRA' con il termine della loro esistenza, o meglio con quella catastrofe fisica che chiamiamo (impropriamente) morte.
L'Uomo, conscio della sua essenza extra-naturale, deve quindi essere consapevole che l'unico motivo che giustifichi la sua esistenza è accettare la prova alla quale è chiamato a partecipare e a superarla.
E qui non si tratta di condizioni diverse da uomo a uomo. Che uno nasca ricco e passi la sua vita tra gli agi, che uno nasca povero e debba superare mille ristrettezze o che uno, magari per una scelta estrema o per una casualità esterna, passi tutti i suoi giorni letteralmente FUORI dal mondo come ad esempio un trovatello che adottato da religiosi trascorra la sua vita senza mai uscire dal convento, o un malato che passi la sua vita da infermo in un letto di ospedale ebbene, in tutti i casi, un uomo, con la possibilità di pensare, PUO' giungere alle stesse conclusioni: che esiste per volontà di un Essere Supremo, che possiede una coscienza, che la sua vita non finirà con la fine della sua esistenza.
Questo fatto (l'indifferenza della conoscenza di Dio dalle condizioni fisiche, sociali, culturali, religiose, storiche e ambientali), lungi dall'essere una semplice constatazione E' UNA PROVA dell'esistenza di Dio; un DIO che ci ha creati, che ci ama e che desidera che lo riconosciamo per darci il dono più grande che potessimo mai sperare di ricevere: l'immortalità.
Promette il Signore: "Io darò loro un posto e un nome" e non c'è promessa più importante per un uomo. Tutto quello che vogliamo infatti è avere una identità: non possiamo tollerare l'oblio che è la vera morte, la vera fine. Ben al di là della disperazione per una vita senza senso che culmina con una morte definitiva e la nostra scomparsa perfino dai ricordi degli altri umani c'è Dio che ci promette una vita eterna dove saremo identificati personalmente, affinché Egli ci possa amare collettivamente (come genere umano) ma anche uno per uno (come persone).
Non c'è altra salvezza che DIO: avviciniamoci a Lui con gratitudine, con speranza e con amore e LUI non ci abbandonerà MAI.
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