Quali sono le cose che valgono veramente? Quali sono quelle che merita veramente di fare, di perseguire, quelle a cui tendere, alle quali impegnarsi? Le cose, i fatti, i pensieri, i ragionamenti, i comportamenti, gli esempi da privilegiare e, al contrario, quelli per cui non merita nemmeno spendere una parola, un pensiero, nemmeno un fugace giudizio fosse pure pieno di disprezzo. Gli anni passano e la mente rischia di perdersi nel mare di stimoli fasulli che ci sommerge. Possiamo resistere ed anzi maturare e trarre vantaggio dall'età solamente, prima riconoscendo, e poi aggrappandoci con tutte le nostre forze, a quello che veramente vale.

lunedì 27 giugno 2011

La Promessa e la Volontà

L’uomo, a causa di un peccato primordiale, è un essere corrotto, naturalmente incline al male. Sempre a causa della sua condizione di peccato è stato mandato sulla Terra, il Regno del Principe del Male, dove lo aspetta una vita breve, travagliata, penosa, costellata da eventi dolorosi, peccaminosi o squallidi e delimitata da una nascita involontaria e da una morte inevitabile: quale situazione potrebbe sembrare più disperata, più insensata, più atrocemente assurda?
Dio però, che ci ama, ostinatamente, insensatamente e immeritatamente, ci dice che possiamo cambiare il nostro destino, possiamo vincere il Male, possiamo sconfiggere la Morte solo che lo vogliamo. Qui si fa appello alla nostra volontà, la virtù dei forti, quella che permette di superare ogni prova, ogni limite.
E la Prova da superare è grande; anzi, è la più Grande che siamo o saremo mai chiamati ad affrontare quaggiù (e nessuno di noi potrà sottrarvisi): Dio ci promette che potremo salvarci (redimerci) se crederemo in Lui, il Creatore di tutte le cose “visibili e invisibili” ed osserveremo i suoi comandamenti.
Credere in un Dio onnipotente, immutabile, eterno, invisibile, imperscrutabile e incomprensibile (“Si comprehendis non est Deus”); potrebbe sembrare una impresa immane, un còmpito che supera ogni logica, una missione impossibile da svolgersi con le sole nostre forze.
Salire fino alle stelle.
Ma non siamo soli, c’è Dio con noi; Dio che ci ama e che ci fornisce gli strumenti per poterci, solo che lo vogliamo, salvare. E se il còmpito è improbo (sconfiggere il Male, il Demonio, la Morte, la legge naturale), gli strumenti sono formidabili, divini. Sono la nostra stessa ragione, la Fede, la Speranza, i Testamenti ed un Salvatore: il Figlio stesso di Dio che è venuto sulla Terra a patire e a morire per noi affinché ci possiamo salvare. Nessuno potrà morire se saprà fare uso di questi strumenti e d’altra parte nessuno potrà salvarsi SE NON LO VUOLE. Morire, fare della nostra vita un inferno senza senso, una prigione abietta e stupidamente inutile DIPENDE DA NOI; dare un senso alla nostra vita terrena ed aprire le porte a quella futura dipenderà solo da un nostro atto di responsabilità. Noi, con Dio, possiamo sconfiggere la morte; senza Dio saremo irrimediabilmente, stupidamente e irrazionalmente spazzati via dal mondo, dalla storia e dall’eternità e la morte, invece di aprirci le porte dell’Altra Vita ci sprofonderà, aborti mai completamente nati, nell’abisso disperato del Nulla.

r.m.

domenica 26 giugno 2011

Morti e sepolti

Ci sono verità che non hanno bisogno di essere rivelate; esse sono talmente evidenti che sono acclamate da ogni popolo, riconosciute da ogni civiltà, fin da quando l’Uomo ha dato notizie, alla storia, di sé. Da quando gli uomini hanno popolato la Terra essi hanno sempre reso grazie al loro Creatore. Si può dire che le prime consapevolezze che gli uomini hanno avuto, sia sprofondando lo sguardo negli abissi celesti nelle notti stellate, sia rimirando attoniti il volto di un loro simile avviluppato nell’abbraccio della Morte, sono state due: l’esistenza di un Dio e l’immortalità della loro anima. Prima di dotarsi di un linguaggio, di erigere un monumento, di fondare una città essi hanno reso grazie a Colui che riconoscevano e adoravano come loro Creatore e Signore ed hanno onorato i loro morti nei modi tipici di chi sa che il defunto ha solo intrapreso un viaggio, che non è scomparso per sempre. Non è esistito un solo agglomerato sociale, in ogni continente, in ogni epoca, che sia potuto svilupparsi e progredire “a prescindere” dalla sua fede in un creatore, sia stato esso un essere celeste, un idolo, una forza della natura, una potenza esoterica o comunque una qualunque forma degna di essere onorata e venerata. Un dio. E non è esistito un solo popolo, sia abitante di un piccolo villaggio che facente parte di una grande civiltà che non abbia sentito il bisogno di onorare i morti in forme che, tutte, presupponevano la certezza di “un’altra vita”. Intere civiltà sono conosciute solo grazie ai loro monumenti funebri e alle loro necropoli: nessun uomo, non ancora plagiato dalla storia  con le sue efferatezze logiche e le sue ignominie ideologiche, poteva pensare che, con la morte, sarebbe scomparso per sempre; nelle tombe si mettevano monete, monili e cibo che potevano essere utili nel lungo viaggio mentre i cadaveri venivano mummificati perché restassero il più possibile simili a quello che erano, quando sarebbero giunti al cospetto delle potenze dell’aldilà.
Gli uomini, non ancora civilizzati, “sentivano” ciò che ora si tende a voler cancellare, ciò che ora quasi ci si vergogna di dire; sapevano che erano figli di un Dio Creatore e che, con la loro morte terrena, la loro Vita non sarebbe finita.
Al di là della siepe...
E noi oggi siamo nelle stesse condizioni dei nostri predecessori. Solo, condizionati da mille concause, abbiamo perso il dono della semplicità e dell’evidenza e, in preda a mille dubbi, a mille vergogne e a mille paure, stentiamo a riconoscere ciò che c’è, che è davanti agli occhi della nostra mente con l’evidenza sfrontata di una verità incancellabile e, paurosi della presenza di un Dio onnipotente ma incapaci di dare una risposta diversa e soddisfacente, releghiamo tutto al caso o alle teorie più fallaci e strampalate.
Ma Dio c’è. E’ buono, è paziente, e ci aspetta…


r.m.

sabato 25 giugno 2011

La ricerca. Capitolo 1

Pochi anni spensierati, poi subito a darsi da fare. Trovare una compagna (o un compagno). Fare un figlio. Accudirlo, svezzarlo, educarlo, farlo diventare grande senza mai smettere di amarlo. Vedere come cresce, come si fa strada nel mondo o come soccombe sotto i colpi del demonio. Sentirlo sempre più distante, sempre meno presente mentre il tempo passa e cominciano le debolezze, le malattie, le solitudini. Soffrire poi, e poi morire sapendo che il nostro figlio e i suoi figli e i figli dei suoi figli avranno lo stesso immutabile destino fatto di beota incomprensione degli eventi, di supina, disperata accettazione, maledicendola, della morte.

Questa è la vita, quella che chiamano Vita, di coloro che non accettano Dio.
Ma di vita non c’è traccia in questo personale universo di disperazione; solo dolore, mortificazione, insensatezza, tristezza.. un lungo incubo, una lunga tortura che terminerà nel Nulla.

Vale vivere per una vita come questa? Cosa ci impedisce di suicidarci in massa? Cosa permette che si continui a mettere al mondo dei figli? E perché impegnarsi in un lavoro, un’Arte, una qualsiasi occupazione che durerà appena il tempo necessario perché noi e i nostri contemporanei ce ne andiamo?

La risposta è una sola ma è una risposta che risponde a tutte le domande, che giustifica qualunque nostro impegno, che ci permette di amare i nostri figli e il nostro prossimo; una risposta che dà valore ai nostri pensieri e ai nostri sentimenti, che offre, in definitiva, una Grande Speranza; di più: una Certezza di sopravvivere alla Morte. La risposta è Dio. La testimonianza, la prova regina è Suo Figlio: Gesù.
Non solo tenebre...

Il Valore che diamo alla nostra Vita deriva solamente dal fatto che riconosciamo la Parola di Dio e la Testimonianza di Gesù. Senza di esse siamo morti, anzi, non dovremmo nemmeno essere nati, la nostra nascita essendo solo un Atto d’amore di Dio, teso alla nostra Vita.
Senza Dio, senza Gesù, non c’è niente che vale nel nostro mondo, ed è inutile cercare di dare un senso alla nostra vita che resta, indecifrabilmente e tragicamente, senza alcun senso.
Ma non è così. Voglio dimostrare, a me e a chi mi legge, perché non è così.

r.m.

mercoledì 22 giugno 2011

QUELLO CHE VALE

1.

Mentre guardo distrattamente (e come, se no?) la TV, sprofondato nell’intoccabile (per gli altri) Mia Poltrona Personale, nauseato per l’assoluta mancanza di interesse dei programmi che via via zappo e rizappo (N.d.A: da “zapping”: saltare insensatamente da canale a canale alla ricerca del Niente Assoluto..), meditabondo sulla natura della Noia e delle sue nefaste conseguenze, scopro tutto d’un tratto, senza preavviso e senza nessun impegno o merito particolare da parte mia, nientedimeno che il Senso della Vita.
Devo dire che la giornata è una delle più normali che si possano descrivere: inizio Giugno, caldo sopportabile, ed io che in salotto gioco con la TV nell’ombra artificiale creata dalle serrande semichiuse. E’ la contr’ora: quella parte del pomeriggio festivo ed estivo quando non si vuol far niente e si resta inconsapevolmente in uno stato di apatia controllata, felici beotamente di esser lì senza aver nient’altro da fare che lasciar corso libero a quella specie di sudore immateriale e tutto cerebrale che sono i pensieri senza metodo o bersaglio.
E mentre scorrono le immagini sullo schermo e le trame, i dialoghi, le storie, i comunicati, le canzoni, le demenzialità seriali e le pubblicità (sì: anche loro!) si interrompono bruscamente, troncate e richiamate ad una incompiuta esistenza tutta fatta di precarietà, di dispensabilità e di nullità intrinseca dal mio incessante, monotono e sacrosanto zappìo sul telecomando, i pensieri pomeridiani fluiscono leggeri. Alcuni girano per un poco nel cervello e, non trovando uno sbocco o qualche aggancio che dia loro scopo o dignità svaniscono come vampiri trafitti dalla prima luce del sole; altri si diramano in rivoli psicofilologici fino a risultare incomprensibili o demenziali (verranno abbandonati senza rimpianto); altri ancora sono solo riverberi di altre pensesse che poi sfioriscono per manifesta inconcludenza; alcuni, per qualche arcano aggancio neuronico, fanno sorgere sulle labbra un incomprensibile sorriso; molti vengono scartati alla previsita logica. Altri pensieri, a volte, inopinatamente restano per qualche minuto a ronzare piacevolmente per la testa: sono quelli apparentemente opposti, ma intrinsecamente gemelli, inerenti la vita temporale di chi pensa (io, in questo caso) e sono di due specie: i ricordi e i progetti. Entrambi simili perché composti tutti della stessa sostanza falsa e ingannatrice; non rappresentano gli avvenimenti passati o sperati, ricordati ingannevolmente o immaginati falsamente, più di quanto la Breccia di Porta Pia o la prossima (?) missione su Marte possano modificare il mio atteggiamento rispetto, mettiamo, a cosa diavolo avrà quel gatto che, là fuori, miagola incessantemente da dieci minuti. Solo per comodità riteniamo “veri” i nostri ricordi; solo per comodità riteniamo “probabili” i nostri propositi mentre in verità niente di essi, ricordi e propositi, è “veramente” mai esistito né mai esisterà (per lo meno nella misura, nella forma e nelle modalità che pretendiamo di dar loro).
Poi, raramente, rarissimamente, ci sono alcuni pensieri che, solo per noi, “possono essere” folgorazioni o, per meglio dire, fornirci alcuni indizi della Verità.
Come quello che, verso le 4 e mezzo di sera, mi trafigge il cervello.

2.
Dunque: è un cimitero. Non so il nome della trasmissione (figuriamoci!), né chi la trasmette, né di che diavolo si tratta (documentario? réclame? fiction? film d’antan?). So solo che mentre spìppolo meccanicamente tra gli innumerevoli canali televisivi ecco che càpito su alcune immagini in bianco e nero. Una ripresa dall’alto di un cimitero; lenta carrellata: tombe, cappelle mortuarie, fiori, lapidi, croci… Una panoramica da destra a sinistra poi uno stacco su una panchina dove siede un vecchio. La camera, situata dietro dietro di lui, inquadra la sua testa e ciò che lui vede; vedo non visto lui che guarda e ciò che guarda: tombe da ogni parte, tombe di ogni forma, un mare di sepolcri e croci. Folgorazione! (e da qui la faccenda si fa difficile a descrivere).

Improvvisamente ricordo che anche io, durante le mie frequenti visitazioni cimiteriali, ho sostato spesso su una panchina simile a quella; anche io ho visto intorno a me quello che reputavo un inquietante deserto di tombe.. solo che dietro di me non c’era nessuno a guardarmi, cercar di carpire le mie sensazioni. Nessuno?
Ritorno a quel momento, mi concentro per renderlo di nuovo vivo come fosse attuale.
Gli alti cipressi, solenni e sempre presenti mi incutono voglia di concentrazione; non posso lasciare che i miei pensieri fluiscono via così, come niente fosse; c’è qualcosa di sacro nel luogo, nell’aria, qualcosa che invita irresistibilmente alla elaborazione dei sentimenti. Sono davvero solo in questo spazio? Non si ode nessun rumore, qui siamo troppo lontani dalle strade frequentate della città e senza alcun dubbio nessuno, a quest’ora, si è avventurato al di là del largo cancello, per gli stretti viali del cimitero.
All’improvviso sento loro, i morti, gli unici, oltre a me, presenti. Non sono voci quelle che odono le mie orecchie, nessuna parola, nessun rumore al di là del solito stormir di foglie. Sono presenze.

3.

E tutto d’un tratto ecco che il mio pensare fa un balzo prodigioso innanzi; sento che quel posto è popolato di essenze (come definirle?). Sono loro, i viventi nel passato ed ora non vivi, che reclamano la mia attenzione quasi urlando nelle mie orecchie con l’evidenza solare di una realtà solo per pigrizia mentale, o vile timore del ridicolo, finora rinnegata o inascoltata. Chi potrebbe logicamente pensare adesso, seduto qui, su questa panchina, che la Morte è la fine di tutto, che i morti, definitivamente “non sono più con noi”? Ma se si fanno sentire con tutta la forza della loro esistenza passata e con il riverbero che la loro vita finita ha sulla mia vita presente; insomma se è possibile pensare che la morte non è la fine di tutto “allora la morte non è la fine di tutto”!
I pensieri di un uomo, le sue speranze, il suo modo (unico per ognuno) di interpretare e dare un senso alla propria vita, non possono (letteralmente: “non possono”) finire con la morte se non altro perché non sono stati acquisiti dall’uomo con la vita. Loro, i non vivi, sono tutti qui, intorno a me, e si compiacciono, lo sento, e mi aiutano in questo ragionamento. Pensare che tutto quello che ci compete, tutto quello che ci conforma, e insomma, tutto quello che abbiamo, sia stato acquisito dalla nascita in poi è non soltanto stupido, ma palesemente, obiettivamente, logicamente, falso. Sento fin nel profondo della mia mente che la nostra esistenza è separata da quello che siamo veramente e che chiamerei la nostra “essenza”; la prima è inerente al nostro agire e al nostro perseverare per qualche tempo nel mondo mentre l’altra, più profonda e continuamente in lotta con la prima per riuscire sia pur flebilmente ad emergere, è preesistente alla nostra nascita ed ovviamente, sia pur modificata dai nostri comportamenti, continuerà ad “essere” anche dopo la nostra morte terrena.

4.

Entusiasmato e sconcertato dalle voci dei non vivi sono preso improvvisamente dal pensiero che anche io, come il vecchio della panchina, osservo e sono osservato da qualcuno che è, non visto ma nemmeno nascosto, dietro, o meglio, sopra di me.
Non voglio voltarmi, non voglio alzare la testa: mi basta sapere che è così: siamo continuamente osservati durante la nostra ricerca del senso della vita e dalle risposte che sapremo dare al grande interrogativo: su di esse Dio ci giudicherà. Senza malizia ma con il solo aiuto che ci dà la Sua presenza attiva e continua, dobbiamo giungere all’unica conclusione possibile che riguarda noi e il nostro viaggio terreno. Un mistero solo assai poco dissimulato e che richiede solo la nostra attiva presa di posizione e il nostro impegno nel risolverlo. Capisco come; so cosa si vuole da me e Chi lo vuole.
La méta è semplicemente la Vita: siamo al mondo solo per impegnarci in questo che è l’Unico Grande Obiettivo che possiamo e dobbiamo porci, anche a costo di rischiare tutto, anche a costo di non riuscirci poiché anche il solo impegno sarà valutato. E io ho deciso che voglio impegnarmi in questo. Fino in fondo.
Realizzo che esistiamo in un mondo ostile, dominato e oppresso dal demonio dove tutto congiura contro la nostra ricerca. Gli anni passano, cambiano le stagioni e noi cambiamo con il loro passare e sempre più frequentemente le scelte da prendere per proseguire il cammino ci appaiono senza senso alcuno. Ma la scelta esiste. Abbiamo una scelta! Il mondo intorno a noi, l’universo, la storia universale, i pensieri che riusciamo a formulare ci dicono che non siamo di questo mondo e, se solo lo vogliamo, il demonio non può averci perché siamo figli di Dio e Dio è con noi.
Ecco l’unica cosa che vale: saper scegliere tra la morte e la Vita. Nonostante quello che sembra non è una scelta facile e richiede che fin da ora ci impegnamo con tutte le nostre forze per scegliere bene. A ciò siamo chiamati: per dare un Senso alla nostra Vita.

r.m.