Quali sono le cose che valgono veramente? Quali sono quelle che merita veramente di fare, di perseguire, quelle a cui tendere, alle quali impegnarsi? Le cose, i fatti, i pensieri, i ragionamenti, i comportamenti, gli esempi da privilegiare e, al contrario, quelli per cui non merita nemmeno spendere una parola, un pensiero, nemmeno un fugace giudizio fosse pure pieno di disprezzo. Gli anni passano e la mente rischia di perdersi nel mare di stimoli fasulli che ci sommerge. Possiamo resistere ed anzi maturare e trarre vantaggio dall'età solamente, prima riconoscendo, e poi aggrappandoci con tutte le nostre forze, a quello che veramente vale.

sabato 14 aprile 2012

Due persone a carico

Si parlava del più e del meno quando Dolfo (un mio amico, di qualche anno più giovane di me) mi ha fatto a bruciapelo: "Beato te che sei in pensione! Beato te che puoi dedicarti al dolce-fa-niente! Me la immagino sai la tua giornata: alzarsi tardi, fare colazione con calma, uscire a comprare il giornale e poi andarsene tranquillamente a leggerlo con calma ai giardinetti. Qualche chiacchierata con gli amici, poi aperitivo al bar e quindi a casa, per pranzo. Dopo mangiato una corroborante pennichella, una visita ai nipoti, passeggio con la moglie a visitar negozi e a sera, o a cena al ristorante con qualche coppia di amici o, se è inverno, a casa, in pantofole, a vedere la TV o a coltivare i tuoi hobbies. Una pacchia! Un Paradiso! E io che devo lavorare ancora altri cinque anni!" ha concluso con un sospiro. Insomma: poiché ero più vecchio di lui mi invidiava, il cretino. La cosa, oltre a non essere vera, mi ha un pò sorpreso così ho provveduto a ristabilire la verità delle cose.
"Vedi Dolfo, forse, e non è certo, vorrei che fosse come tu pensi ma purtroppo, anzi, per fortuna, non è così. Non ho molto tempo libero per dedicarmi alle piacevoli occupazioni che immagini. Sono occupato. Occupatissimo. Anzi, sono più occupato adesso che ai tempi in cui ero impiegato, correvo su e giù per l'Italia e dovevo darmi da fare in tutti i modi per cercar di mandare avanti la famiglia. Sono occupato e preoccupato. E ho paura di non avere il tempo che vorrei per poter portare a compimento, in modo soddisfacente, (e voglio, e devo farlo) i còmpiti che mi attendono e che mi impegnano notte e giorno. Si tratta di raggiungere due obiettivi difficilissimi, almeno per me. E per farlo devo dedicare a loro ogni ora del tempo che mi rimane, sperando che basti perché la loro riuscita è una questione di vita o di morte. La mia, voglio dire."
"Due còmpiti? Ma di che parli?" ha chiesto esterrefatto Dolfo. Non gli pareva possibile che, uno che era andato in pensione e poteva quindi (pensava lui) riposarsi, potesse esser preoccupato per il timore di non riuscire a portare a termine certi obiettivi. Ho cercato quindi di chiarire meglio quello che volevo dire.
"Dolfo, amico mio, ascolta bene e capirai quali sono gli impegni ai quali mi riferivo. Ti ho detto che sono due; voglio essere ancora più chiaro dicendoti che del primo, che è un impegno che non mi sono assunto volontariamente ma che non posso eludere, farei assai volentieri a meno, mentre il secondo, che ho personalmente e responsabilmente voluto e cercato, è conseguenza diretta del primo alle cui drammatiche conseguenze può porre rimedio."
Beh, la spiegazione era indubbiamente un pò criptica. Infatti al termine delle mie parole Dolfo ha unito le dita delle mani portandosele sotto il mento e agitandole in su e in giù come a dire: "Ma che stai a dì?" (Dolfo è di origine romana). Perché tenerlo sulle spine? Ho parlato:
"Vedi, il fatto è che sono occupatissimo ad allevare due.. due persone, a farle crescere, a nutrirle fino a renderle complete e formate. Sono due che vivono con me, abitano con me, mangiano con  me, dormono con me e non si allontanano mai da me, né di giorno né di notte. La prima sta con me fin da quando sono nato; anche se non è importuna e cerca di non dare nell'occhio, è invadente per sua stessa natura. Pensa Dolfo che qualunque cosa io faccia, qualunque giorno io viva, qualunque comportamento io tenga, tutto influisce su questa persona e d'altra parte ogni suo progresso verso una completa autonomia determina un mio decadimento sia fisico che mentale. Sono talmente abituato alla sua presenza che non mi accorgo nemmeno che ci sia; purtuttavia non cesso un solo istante, anche senza rendermene conto, di operare perché si completi, perché si perfezioni fino al punto di essere perfetta e possa esistere di per sé stessa e non vegetare nascosta, alla mia ombra. Allora potrò (o, a dir meglio, dovrò) veramente lasciarla andare per la sua strada senza alcun rimpianto, e potrò riposarmi, finalmente, ma solo a patto di avere, nel frattempo, realizzato in modo soddisfacente il mio secondo obiettivo e cioè: solo se sarò riuscito, per quel tempo, ad allevare e a formare completamente la seconda persona, quella che sta con me da meno tempo, ma che mi occupa più a fondo, e che oltre a richiedere più energie e determinazione da parte mia necessita anche di un fondamentale aiuto esterno."
"Ma insomma! Mi vuoi dire finalmente e senza giri di parole chi sono queste due persone che ti impegnano così tanto?" ha sbottato Dolfo, al quale, scarso di fantasia, gli indovinelli non piacciono affatto.
"Le persone alle quali mi riferisco non hanno un vero e proprio nome. Io le chiamo: il Morto e il Vivo. Il Morto è nato nello stesso istante in cui sono nato io e da allora vive con me. Letteralmente; al punto che sarebbe più opportuno dire che vive 'in' me". Quasi non mi accorgo di lui per come mi assomiglia. Gli altri non lo notano neppure: è talmente simile a me che si nasconde dietro la mia faccia. Gli altri vedono me e spesso non sanno di vedere lui. Da parte mia cerco di prepararlo bene, con cura, anche se mi accorgo che, per il momento non è ancora perfetto. Solo allora, quando sarà diventato, grazie alle mie cure incessanti e al tempo che passa (il tempo è un elemento fondamentale in questa impresa), il vero e unico Cadavere di me stesso, solo allora potrò lasciarlo al suo destino. A quel punto la mia opera sarà veramente compiuta e io potrò uscire di scena al punto che, c'è da scommetterci, nessuno riuscirà più a vedermi in giro.
Ma per quel giorno sarà estremamente importante, anzi di più: essenziale, che abbia terminato l'allevamento, la costruzione, la definitiva formazione della seconda persona; quella che mi preoccupa di più: il Vivo.
Questo, a differenza del Morto, non è da tanto che è oggetto delle mie cure, ma da quando l'ho scoperto (e non solo per mio merito) ho deciso di dedicarmi anima e corpo a lui, per irrobustirlo, nutrirlo, curarlo e per fare in modo che possa subentrare a me quando dovrò lasciar campo libero al Morto. Ovviamente anche se per semplicità lo chiamo il Vivo, egli non lo sarà che al completamento delle mie incessanti premure affinché si rafforzi, abbia fiducia in sé stesso e possa, in piena libertà di coscienza, iniziare la sua nuova Vita anche senza di me. Anzi, lo potrà fare solo senza di me. Da ciò avrai capito che dipende da me costruire sia il Morto che il Vivo e che devo compiere questi còmpiti in tempo utile il che vuol dire che dovrò aver preparato e formato compiutamente il Vivo prima del Morto (o almeno contemporaneamente). Se così non fosse, se non riuscissi a costruire il Vivo in tempo utile, tutta la mia vita non avrebbe avuto alcun significato. Il Morto subentrerebbe a me ed io, non avendo sottomano un Vivo al quale conferire quello che resta della mia esistenza, morirei definitivamente con lui. Ma non preoccuparti, lavoro alacremente su tutti e due e senza risparmiarmi. La mia preoccupazione è quella di frenare il Morto (che preme per uscire allo scoperto e mostrarsi al mondo) e accelerare la formazione del Vivo. Con questo genere di responsabilità sulle spalle capirai che sono occupatissimo e tempo da buttare via proprio non ne ho ed avrai anche compreso perché ti ho detto che la riuscita del mio obiettivo (formare il Vivo in tempo utile) è questione di vita o di morte. Anzi, invertendo i termini, di morte e di vita. Di Vita Eterna."
Potevo usare altre parole, d'accordo, ma Dolfo aveva capito lo stesso. L'ho visto dal suo sguardo, quello che mi ha lanciato quando ci siamo salutati:
"Ciao, amico" mi ha detto "credo che anche io dovrò cercare di svolgere quei certi còmpiti. Anzi: sarà bene che mi ci impegni da subito. Senza aspettare di essere in pensione".

domenica 19 febbraio 2012

La strada di casa

La Speranza
Cerchiamo di negarlo, cerchiamo di parlare d'altro, di sviare il discorso, di annullare il pensiero (tenace) che sopravviene proprio quando siamo meno pronti (non siamo mai pronti) ad accoglierlo, a indagarlo. Ma non c'è niente da fare; è più forte di noi rivolgere i pensieri dove costa meno (ed è meno opportuno) e far finta di niente. 
Ma non si può far finta di niente; e ognuno di noi, a prescindere dalle proprie opinioni (anche religiose) lo indovina, lo avverte; a volte lo teme ma sempre lo sa.
Purtroppo, lo sa. Sa che siamo in questo mondo (che non ci appartiene, che è per noi - a prescindere dalle èbeti critiche che l'affermazione può provocare - nient'altro che un territorio alieno, ostile, dove impera sovrano il Demonio) solo per una ragione, per uno scopo: utilizzare il breve periodo della nostra esistenza per conoscere noi stessi e il nostro Dio, e renderGli testimonianza. Convertirsi quindi, finché siamo in tempo, espiando così una Colpa collettiva, misteriosa e indicibile che ci contraddistingue e ci condanna in questa che è, veramente, miseramente, nient'altro e niente più che una "valle di lacrime".
La Morte, la fine della nostra Esistenza (ma non della nostra Essenza; la nostra Anima è immortale) ci attende, silente e sempre più vicina; di Essa sappiamo che è imprevedibile nei modi e nei tempi ma certa e ineluttabile.
Dovremo morire quindi, ma come ci presenteremo al terribile appuntamento? Saremo pronti quando arriverà il momento?Innanzitutto dovremo abbandonare i nostri cari e poi dovremo dare un addio alle mille cose che pazientemente, a volte ossessivamente, abbiamo accumulato. Le nostre "proprietà" come frettolosamente le definivamo, i nostri oggetti, quelli dei quali eravamo sempre stati così gelosi; le nostre raccolte di nullità (ora lo possiamo dire); i nostri tesori che tante cure a sacrifici ci hanno richiesto e che, dopo di noi, semplicemente non esisteranno più: siamo pronti a lasciare tutto questo? Ecco uno dei punti chiave, un punto sul quale non ci soffermiamo mai: con la nostra morte TUTTO finisce; con essa finiscono i mondi, le persone, i popoli, e ciò che è, ciò che è stato e ciò che sarà, perché sappiamo che più niente si potrà verificare, nulla più potrà accadere senza di noi, poiché siamo stati noi, (nell'esperienza personale e universale della nostra esistenza; personale, perché solo nostra, e universale, perché sempre ripetuta per ognuno con le stesse modalità) ad aver prodotto tutti gli eventi, ad aver creato la natura, le persone, i fatti e, in definitiva, la storia stessa che da un fatto oggettivamente immutabile, cronologico e globale si trasforma in una raccolta di sensazioni vissute soggettivamente in una esperienza effimera quale potrebbe essere stata la nostra vita. Del mondo conosciamo quello che sperimentiamo o che impariamo; comunque tutto ciò che di esso sappiamo lo abbiamo acquisito con i nostri sensi; i nostri sensi mortali. Finiti noi, finito il mondo intero. In questo mondo, dopo di noi, non ci sarà più niente e nessuno. Di più: non ci sarà mai stato niente e nessuno dato che un prima e un dopo non possono riferirsi a qualcosa che non c'è. Del resto un Poeta ha detto che "la vita è un sogno".
Ma poiché sappiamo che dopo questa che chiamiamo vita (ma potremmo anche chiamarla "malattia terminale" poiché si tratta di una vita a termine, provvisoria) ci attende un'altra conoscenza, un'altra esperienza, un'altra (questa volta vera e piena) Vita che ci appartiene e che oscuramente avvertiamo, ecco che ad essa, poiché non finirà mai, dobbiamo rivolgere le nostre attenzioni, qui e adesso. Dobbiamo quindi trovare, poiché l'abbiamo dimenticata, semplicemente la strada di casa; tutta la nostra breve esistenza non può avere altro scopo, altro obiettivo, altro traguardo che questo: cercare il modo di tornare a casa, alla nostra casa, quella dalla quale ci siamo allontanati ma in cui il nostro Signore anela di riaccoglierci (purché lo vogliamo). 
Abbiamo la mappa del percorso che dobbiamo intraprendere, e possediamo tutte le chiavi che ci occorrono per aprire le porte chiuse che troveremo ad ostacolarci nella nostra impresa. Non dobbiamo cedere; non dobbiamo interrompere il nostro viaggio ed abbandonarci a questo mondo che tenderà, perché per definizione a noi ostile, a distruggerci. Ma sappiamo come comportarci, sappiamo vedere, sappiamo leggere dentro noi stessi e se questo non basta a fortificarci, Gesù vivente in noi, i Vangeli, le Scritture, e la Storia stessa dell'Umanità ci rassicurano sul nostro destino che non è di disperazione e di oblìo ma di Vita vera, piena e completa nell'Eternità che ci è destinata e che (né per pigrizia, né per fallaci ragionamenti, né per paura, né per superbia né per semplice, umana, stupidità) non possiamo, non dobbiamo, permetterci di rifiutare.  

sabato 24 dicembre 2011

E' Natale

"Il Natale è una Festività religiosa ma dovrebbe essere anche una festività civile; infatti nella data simbolica del 25 Dicembre di ogni anno si celebra l'anniversario della nascita (e cioè il giorno natale) di Gesù, l'Uomo che salva il mondo".
Il periodo che ho riportato qui sopra sembra, a parte un presente indicativo che fa pensare ad un refuso, un enunciato scontato, evidente, quasi lapalissiano; ma non è così. Penso pertanto che meriti approfondire quella frase in modo da riuscire a riconsiderare il Natale alla luce di ciò che è e non di ciò che è diventato, nella speranza che questo ci aiuti a riconoscere in questa Festa la celebrazione di uno dei due giorni più importanti e determinanti (l'altro fu quello della Resurrezione di Gesù) dell'intera storia dell'Umanità.
1- Il Natale (anzi: il Santo Natale) è l'anniversario di una nascita.
Sgombriamo quindi subito il campo dagli orpelli consumistici che da qualche decennio cercano (sempre più spesso riuscendoci) di spogliarlo da qualsiasi aggancio alla Storia nel tentativo spasmodico di renderlo una festa globalizzata, approvata da tutti e dedicata a tutti; una festa di esaltazione consumistica avallata, reclamizzata e identificata da falsi testimonial, gadget di fantasia, innocui ma alienanti, senza alcun rapporto con fatti reali, documentati e fermamente ancorati nella realtà storica.
Il tentativo di scardinare una tradizione secolare di devozione popolare come quella del Presepe sostituendo la figura di Colui che dovrebbe essere il protagonista assoluto della festa (che è semplicemente la ricorrenza della Sua nascita) con quella debordante, invadente, sguaiata e anacronistica di un rubizzo e grassottello vecchietto dagli occhietti ammiccanti (chissà perché) vestito di rosso (perché poi..) che abita in Lapponia (?) e porta regali ai bambini (perché?) volando di notte per il cielo a bordo di una slitta trainata da renne volanti... (basta, basta, per carità!), è giustificato (si fa per dire) dal bisogno di vendere regali di ogni forma, qualità e prezzo ad ogni persona del globo a prescindere dalla sua età, dalle sue possibilità e persino dalla sua religione o dal suo essere agnostico o ateo. Insomma, per far affari ad ogni costo si manipolano i bambini, si crea una mitologia assurda, irreale e pacchiana con il vecchietto (chiamato senza alcun motivo "Babbo Natale"); le renne, la neve, le mutande rosse, i gingolbells e tutta la paccottiglia tesa a distogliere l'attenzione dell'universomondo dal significato autentico, anche etimologico, dalla realtà storica e dalla stessa ragion d'essere della Festa che a questo punto potrebbe esser chiamata semplicemente e più opportunamente (e presto credo lo sarà): la "giornata di Babbo Natale" (o "del regalo", o "della neve" a prescindere che nevichi o meno).
E mentre il gadget kitsch della Coca-Cola (la figura del vecchietto cosiddetto Babbo Natale fu inventata agli inizi del secolo scorso per reclamizzare la famosa bevanda gasata) imperversa in ogni spot televisivo, in ogni jingle di supermarket ed in ogni pagina pubblicitaria, proprio stanotte, nella sua squallida grotta nasce, come allora, il bambin Gesù, che, mentre lo abbandoniamo e cerchiamo in ogni modo di dimenticarlo togliendogli anche la "sua" festa (togliamo Gesù dalla sua nascita! lo eliminiamo dalla Storia!), continua purtuttavia ad amarci e ad impegnarsi per la nostra salvezza.
2- Nasce l'Uomo che salva il Mondo.
Quale è il destino di un uomo? Qui la risposta è tragicamente, assurdamente, terribilmente facile, certa al di là di ogni ragionevole dubbio: la Morte. La sua morte; ineluttabile e, il più delle volte, terribile nelle modalità in cui avviene.
Ma se è così perché gli uomini continuano ad accoppiarsi, a riprodursi, a costruire monumenti, a fare testamento, a progettare astronavi, a cercar di progredire, ad affannarsi per lasciare traccia di sé?
La risposta è solo una: perché un giorno di tanti anni fa (il giorno del suo Natale) nacque Gesù e perché da quel giorno con noi c'è Gesù.
Se il mondo non Lo avesse conosciuto cosa si sarebbe potuto opporre, dato che l'Uomo è un essere dotato di intelligenza, ad un suicidio di massa della razza umana? A quale scopo avviarsi verso il decadimento fisico e la morte, a che scopo condannare i nostri figli allo stesso tragico destino, se la nostra vita consiste solo nell'esistere qui ed ora?
Il motivo è la Speranza; la Certezza della Speranza che Gesù ci ha dato. Da quel giorno che il bambinello nacque nella grotta per poi crescere, operare, patire, morire ed infine risorgere, tutta la prospettiva del genere umano è cambiata. Ora c'è un Dio che ci ama, un Dio che è venuto da noi e che resta con noi; un Dio che, tramite il Figlio Suo, Gesù, ci dice che "vale la pena di vivere e persino di morire" perché "morire si può" e senza rimpianti se la fine della nostra esistenza ci può aprire le porte della vita eterna.
Questa è la testimonianza di Gesù, il Bambinello che nasce ogni anno nella sua grotta di Betlemme e che ogni anno risorge nel giorno di Pasqua. Lui, con le sue parole, le sue opere e la sua vita offerta in dono per noi, ci salva. A Lui rendiamo grazie in questo giorno in cui si celebra il Santo Natale che ci ricorda la sua venuta tra di noi; Lui adoriamo e ringraziamo stupiti ed attòniti del suo amore. Gesù ci ama, Gesù ci salva allora come oggi, noi ed i nostri figli; il rubicondo giullare nato da una squallida operazione di marketing lasciamolo, per questa volta, fuori dalla porta, al gelo, con le sue stupide renne.

venerdì 25 novembre 2011

La Rivoluzione

Dunque, vediamo un pò di esaminare più da vicino la Grande Questione della nostra esistenza. 
Gli uomini nascono, crescono, decadono e muoiono; e tutto al di fuori e a prescindere da qualsiasi loro volontà. 
Non è questo che, in estrema sintesi, succede loro? E non è questo che, in estrema sintesi, succede a tutte le cose di questo mondo, mondo stesso (e Universo) compreso? 
Ma se fosse veramente così; semplicemente, assolutamente e solamente così, allora ci troveremmo di fronte a qualcosa di talmente assurdo che rasenta il ridicolo. Una assurdità che posso definire (usando la logica) "irragionevole". E poiché da ogni parte, specialmente da quelle che si autodefiniscono orgogliosamente aconfessionali, o agnostiche, o atee (posto che quest'ultimo aggettivo voglia significare qualcosa dato che, per negarla, riconosce l'esistenza di Dio) ci si raccomanda di restare sempre, in ogni ragionamento, nella sfera del razionale, lasciando perdere le professioni di fede o la "facile" (così la definiscono) adesione a verità rivelate ma che sfuggono al controllo dei sensi e della "Ragione", allora, considerando che la speculazione "logica" è indubbiamente la qualità umana più ragionevole, posso definire "assolutamente illogica" una definizione dell'esistenza che consideri solamente composta da questi dinamici e inevitabili accadimenti successivi (e quindi senza altre variabili che non siano questi 4 postulati incontrovertibili) la vita degli uomini.
Perché mai gli uomini avrebbero sviluppato la ragione, e quindi la possibilità di sviluppare ragionamenti logici, se poi questa qualità si dovesse arrestare alla semplice constatazione di essere, ognuno di noi, oggetto di una nascita decisa altrove, di una crescita ed un decadimento inarrestabili e di una morte certa, ineluttabile e definitiva? Una qualità o un attributo servono per essere usati. Come si giustifica che a noi si chieda di abdicare a ciò per cui siamo stati nominati e a rifugiarci in una constatazione di disperazione talmente semplice e terrificante che potremmo esser nati piante, o rocce o animali per elaborarla, salvo la "piccola" differenza che noi, e solo noi nell'Universo-Mondo, "conosciamo" il nostro destino e quello che ci attende.
Ma noi non siamo animali. Non siamo piante, né rocce né siamo assimilabili o confrontabili con qualunque altro essere animato o oggetto inanimato che esista, qui od in ogni altro luogo.
Noi possiamo pensare. Noi possiamo ragionare. E noi "dobbiamo" ragionare perché infine esistiamo solo per questo.
La prima cosa che gli uomini hanno accertato, l'unica della quale si sono sentiti assolutamente sicuri fin dai primordi della lor venuta su questa Terra; prima che si costituissero in comunità sociali, prima di qualsiasi loro espressione "culturale" e contemporaneamente alla loro riconoscibilità come esseri pensanti è stata l'accettazione e l'adorazione di un dio. Nel momento stesso che il primo uomo ha detto, guardandosi intorno: "io sono qui", ha poi aggiunto e sottinteso: "e un dio mi ci ha mandato"; quindi ha proseguito "rendo grazie a dio" perchè (ha pensato sperimentando la morte): "dopo che sarò morto mi chiamerà a sé". 
La prima, originaria religione è nata con l'uomo; è nata "nell'uomo" senza alcun bisogno (ancora) di essere "rivelata" e comprendeva l'adorazione di un creatore e la certezza di una vita eterna dopo la morte come sapevano bene gli uomini delle caverne, e gli Etruschi e gli Egizi e tutti i popoli antichi. Gli uomini "sanno" al di là di ogni "ragionevole" dubbio di essere figli di un dio creatore dell'Universo, e "sanno" che la loro esistenza su questa terra non è altro che un passaggio "obbligato" a causa di una colpa collettiva, atavica e misteriosa. "Sanno" anche che la loro esistenza altro non è che una prova; un lungo doloroso e difficoltoso esame in cui la loro anima deve dimostrare di essere degna di poter finalmente entrare nell'altra vita, nella pace, nella felicità della riunificazione con il loro dio. 
Tutti i popoli, le tribù, le nazioni, a prescindere dai tempi e dai luoghi in cui hanno vissuto hanno elaborato questo. Le prime esternazioni intelligenti della nostra razza, i primi elaborati "culturali", i primi documenti non sono stati altro che la testimonianza di questa consapevolezza (che siamo stati creati da un dio) e di questa certezza (che ci aspetta un giudizio ed una vita eterna dopo la nostra esistenza terrena).
E oggi, in piena epoca "moderna" (ma che diavolo vuol dire "moderna"? Tra duemila anni come si chiamerà quell'epoca: stramoderna, ultramoderna, o come?) c'è ancora qualcuno che parla di "progresso" (che, riferendosi soltanto a piccole modifiche utilitaristiche del modo di produzione e consumo di beni materiali, è assolutamente indifferente alla Grande Questione) e che dichiara (con sommo sprezzo del ridicolo) di mettere in discussione l'esistenza di Dio.
L'unica nostra salvezza, prima che una morte orribile, o ridicola, o squallida, o atroce ci precipiti nell'abisso di un Nulla che abbiamo evocato e suscitato, è quella di abbandonarci coscientemente, sicuri della nostra ragionevolezza e confidenti nella Sua Parola, nelle mani di Nostro Signore, che ci ama e non ci abbandonerà mai. Solo così daremo un senso alla nostra vita, solo così la renderemo "utile", solo così ci salveremo.

martedì 18 ottobre 2011

L'inizio della fine

E' stata Violenza. Violenza inaudita, incontrollata, ingiustificata. Violenza cieca, inconsulta, esagerata. Violenza immeritata, bestiale, stupida. Violenza contro sconosciuti, contro persone come me e te, contro chi passava da lì, o abitava lì vicino, o semplicemente cercava di opporsi (anche solo con la voce) all'insopportabile vista di tanta ferocia. Violenza prevedibile e prevista, violenza triviale, vile, forsennata, sguaiata; violenza contro tutto e tutti, violenza urlata, dichiarata; violenza senza opposizione. Solo violenza. Bruciano le auto dei cittadini che hanno parcheggiato lungo i marciapiedi percorsi dai sovversivi rossi; volano come stormi di passeri le pesanti pietre divelte dal selciato, ognuna delle quali in grado di uccidere un uomo; gruppi di teppisti mascherati sfondano i vetri dei negozi, bruciano i portoni dei palazzi, si accaniscono in cento contro uno contro i poveri poliziotti che disarmati, non possono che pregare di essere risparmiati, e di aver la forza (o la debolezza?) di non reagire.
Qualcuno del branco omicida, entra coraggiosamente in una cappella e si accanisce contro la statua della Madonna. La colpisce, la spezza, poi la getta in strada e la prende a calci; qualcun altro decapita e mutila il Gesù di un crocifisso appeso alla parete. La Madonnina straziata, derisa, odiata resta a terra, spezzata in più pezzi, la parte superiore ridotta ad un moncherino dove persiste, tragicamente, il mesto sorriso di Colei che non ha mai odiato nessuno.
Dolce Madre di Dio, aiutaci a resistere a queste ignominie; perdonaci dei nostri tremendi peccati, dell'aver costruito, generato, allevato, coccolato il seme del Male; chi ti ha ferito è simile a noi, è uno di noi e questa è una verità che nessuno può sottacere: siamo ormai sotto attacchi inauditi del demonio che genera in noi mostruose creature capaci di tanta bestialità.
Tu che hai sempre accettato la volontà del Signore, Tuo Figlio; Tu che sei il simbolo stesso della Pace, della Verità, del Perdono, della Bontà fattasi donna;... perdona chi ti ha brutalmente, immotivatamente mutilata cercando e sperando così di ferire, di offendere noi, tuoi Figli, che vediamo in Te l'immagine stessa di Gesù.
A me non resta che pregare e fremere in silenzio. La vista della Tua immagine spezzata e calpestata è l'immagine stessa dell'Odio. E se Dio è Amore l'Odio è la natura stessa del Demonio, del Principe di questo Mondo. 
Quando succedono cose come queste occorre trarne le conseguenze; i tempi sono maturi; come profetizza lo stesso Gesù Cristo queste cose devono avvenire prima che giunga il Regno del Signore. Preghiamo te, Dolce Madre Celeste; confidiamo in Gesù Cristo e ci apprestiamo ad assistere a fatti sconvolgenti nella sicurezza che anche queste cose altro non sono che il segno dell'imminente fine dei tempi. Ravvediamoci; e preghiamo.

mercoledì 12 ottobre 2011

La Crisi

La crisi. Se ne parla così tanto, a proposito e a sproposito, che mi vien da pensare che in fondo in fondo ci deve essere qualcuno da qualche parte che questa crisi la desidera, la incoraggia, la anela. Forse pensa di guadagnarci, forse pensa che il cambiamento che ne deriverebbe possa essere, tutto sommato, benefico.
Anche io, guardandomi attorno, avverto la crisi; l'annuso nell'aria, la percepisco, la subisco; anche io, soprattutto io, sono attaccato, contaminato, contagiato dalla crisi, dalla vera Crisi, quella che ci minaccia veramente, quella che ci attacca alla gola, quella che può davvero scuotere le nostre esistenze alle radici e poi progredire inarrestabile fino alla Distruzione del nostro "Mondo" (il nostro modo di vita, la nostra morale, i nostri valori, la nostra storia, le nostre radici, la nostra cultura, la nostra religione, la nostra etica, la nostra visione del mondo). Non si tratta però della crisi finanziaria e nemmeno della crisi economica che ne deriva (in gran parte). L'altra crisi, quella di cui parlano i giornali, quella contingente, ripetitiva, veniale, la crisi che trae origine da alcune nostre storture e da alcune condannabili avidità non può far "davvero" paura.
Da situazioni critiche di questo genere (e spesso ben peggiori) gli uomini si sono sempre riavuti e modificando alcuni aspetti tutto sommato marginali dei propri ordinamenti e dei propri regolamenti, sono sempre riusciti a ripristinare (e con pochissimi cambiamenti, a guardar bene) lo stesso vecchio, caro, collaudato, rassicurante ordine sociale.
Insomma si fa un gran parlare di rivoluzioni apocalittiche affermando che da esse il mondo è uscito cambiato dalle fondamenta; si è tirato in ballo il Rinascimento, la Restaurazione, la Rivoluzione Francese e quella Russa appigliandosi ai grandi cambiamenti inter-relazionali che questi processi storici, anche violenti, hanno prodotto nelle coscienze, negli usi e nella cultura dei popoli ma non ci si è mai soffermati abbastanza sullo specifico identificativo di questi cambiamenti il cui risultato è stato, abbastanza incredibilmente, la Stabilità di fondo che hanno garantito al nostro stile di vita, al nostro modo di pensare, alle nostre relazioni sociali, alla nostra cultura. Al nostro "Mondo". 
L'ultima vera, enorme, inaudita, Rivoluzione è stata la nascita, la parola, le opere, la morte e la Resurrezione di Nostro Signore; da allora il mondo che conosciamo ha proseguito la sua corsa tra i secoli in uno scenario di fondo (nonostante anche drammatici e vasti stravolgimenti "periferici") prevalentemente immutato (il Potere Civile e il Potere Religioso, la Famiglia, un Assetto Istituzionale Gerarchico, la Giustizia degli uomini, la separazione dei Poteri, il senso pervadente (anche quando non attuato) dell'Etica Cristiana). 
La Crisi che ci minaccia è invece qualcosa di completamente diverso e di nuovo, e ci coinvolge tutti; non dipende dai differenziali dei BTP, dalle oscillazioni delle Borse, dai declassamenti delle Società di Rating o dai prezzi delle materie prime; come ho detto non è una crisi finanziaria, né economica e nemmeno ideologica e non è una crisi che possiamo pensare di superare con le nostre sole forze. Essa è già qui; è con noi, tra di noi, in noi, e ci sta distruggendo avvalendosi di armi inaudite che spingono ineluttabilmente proprio noi, i maggiori beneficiari dei loro tesori, a mettere in discussione e a disfarsi delle stesse fondamenta sulle quali abbiamo potuto costruire la nostra civiltà.
La istituzione Famiglia è ormai moribonda e prossima alla fine, colpita a morte da un permissivismo sessuale inaudito, dagli egoismi, da sempre più diffuse e devastanti politiche dissuasive.
Lo Stato è in discussione. Rinunciando ai suoi compiti di garante della sicurezza, della salute, del lavoro e del benessere dei suoi cittadini esso si comporta come un Ente vessatorio e non riconosciuto del quale sembra legittimo contestare l'utilità.
E' sotto attacco, oltre a tutta la gerarchia ecclesiastica, la stessa Religione Cattolica, che viene sbeffeggiata e contestata ed il cui messaggio di pace, tolleranza e solidarietà, non viene più recepito: intanto altre aggressive religioni, colmando il vuoto prodottosi nelle coscienze, avanzano minacciose portando con sé, sinistri messaggi di intolleranza e di violenza.
E' in discussione Dio stesso.
Io so che questa Crisi (se vogliamo chiamarla così) è, come tutte le cose che sono accadute, che accadono e che accadranno, solamente "permessa" da Dio e che al termine del tempo il Signore sprofonderà definitivamente il Principe del mondo nell'Abisso, ma è duro, e lo sarà ancor più per i nostri discendenti, sopportare quello che oggi avviene: il (temporaneo) prevalere di Satana sul mondo.
Signore, Dio mio; non permettere che il Male distrugga il tuo popolo. Abbi pietà di noi e dei nostri figli; auspicando e pregando che sia fatta la Tua volontà, chiediamo la Tua misericordia nella certezza che, alla fine, sarai per tutti noi, e per l'eternità, il Vincitore.

sabato 8 ottobre 2011

Preghiera

Insegnami a cercarti e a mostrarti a me che ti cerco. Io non posso cercarti se tu non m’insegni, né trovarti se tu non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti, che ti desideri cercandoti, che ti trovi amandoti, e che ti ami trovandoti.
Sant'Anselmo