Quali sono le cose che valgono veramente? Quali sono quelle che merita veramente di fare, di perseguire, quelle a cui tendere, alle quali impegnarsi? Le cose, i fatti, i pensieri, i ragionamenti, i comportamenti, gli esempi da privilegiare e, al contrario, quelli per cui non merita nemmeno spendere una parola, un pensiero, nemmeno un fugace giudizio fosse pure pieno di disprezzo. Gli anni passano e la mente rischia di perdersi nel mare di stimoli fasulli che ci sommerge. Possiamo resistere ed anzi maturare e trarre vantaggio dall'età solamente, prima riconoscendo, e poi aggrappandoci con tutte le nostre forze, a quello che veramente vale.

sabato 14 aprile 2012

Due persone a carico

Si parlava del più e del meno quando Dolfo (un mio amico, di qualche anno più giovane di me) mi ha fatto a bruciapelo: "Beato te che sei in pensione! Beato te che puoi dedicarti al dolce-fa-niente! Me la immagino sai la tua giornata: alzarsi tardi, fare colazione con calma, uscire a comprare il giornale e poi andarsene tranquillamente a leggerlo con calma ai giardinetti. Qualche chiacchierata con gli amici, poi aperitivo al bar e quindi a casa, per pranzo. Dopo mangiato una corroborante pennichella, una visita ai nipoti, passeggio con la moglie a visitar negozi e a sera, o a cena al ristorante con qualche coppia di amici o, se è inverno, a casa, in pantofole, a vedere la TV o a coltivare i tuoi hobbies. Una pacchia! Un Paradiso! E io che devo lavorare ancora altri cinque anni!" ha concluso con un sospiro. Insomma: poiché ero più vecchio di lui mi invidiava, il cretino. La cosa, oltre a non essere vera, mi ha un pò sorpreso così ho provveduto a ristabilire la verità delle cose.
"Vedi Dolfo, forse, e non è certo, vorrei che fosse come tu pensi ma purtroppo, anzi, per fortuna, non è così. Non ho molto tempo libero per dedicarmi alle piacevoli occupazioni che immagini. Sono occupato. Occupatissimo. Anzi, sono più occupato adesso che ai tempi in cui ero impiegato, correvo su e giù per l'Italia e dovevo darmi da fare in tutti i modi per cercar di mandare avanti la famiglia. Sono occupato e preoccupato. E ho paura di non avere il tempo che vorrei per poter portare a compimento, in modo soddisfacente, (e voglio, e devo farlo) i còmpiti che mi attendono e che mi impegnano notte e giorno. Si tratta di raggiungere due obiettivi difficilissimi, almeno per me. E per farlo devo dedicare a loro ogni ora del tempo che mi rimane, sperando che basti perché la loro riuscita è una questione di vita o di morte. La mia, voglio dire."
"Due còmpiti? Ma di che parli?" ha chiesto esterrefatto Dolfo. Non gli pareva possibile che, uno che era andato in pensione e poteva quindi (pensava lui) riposarsi, potesse esser preoccupato per il timore di non riuscire a portare a termine certi obiettivi. Ho cercato quindi di chiarire meglio quello che volevo dire.
"Dolfo, amico mio, ascolta bene e capirai quali sono gli impegni ai quali mi riferivo. Ti ho detto che sono due; voglio essere ancora più chiaro dicendoti che del primo, che è un impegno che non mi sono assunto volontariamente ma che non posso eludere, farei assai volentieri a meno, mentre il secondo, che ho personalmente e responsabilmente voluto e cercato, è conseguenza diretta del primo alle cui drammatiche conseguenze può porre rimedio."
Beh, la spiegazione era indubbiamente un pò criptica. Infatti al termine delle mie parole Dolfo ha unito le dita delle mani portandosele sotto il mento e agitandole in su e in giù come a dire: "Ma che stai a dì?" (Dolfo è di origine romana). Perché tenerlo sulle spine? Ho parlato:
"Vedi, il fatto è che sono occupatissimo ad allevare due.. due persone, a farle crescere, a nutrirle fino a renderle complete e formate. Sono due che vivono con me, abitano con me, mangiano con  me, dormono con me e non si allontanano mai da me, né di giorno né di notte. La prima sta con me fin da quando sono nato; anche se non è importuna e cerca di non dare nell'occhio, è invadente per sua stessa natura. Pensa Dolfo che qualunque cosa io faccia, qualunque giorno io viva, qualunque comportamento io tenga, tutto influisce su questa persona e d'altra parte ogni suo progresso verso una completa autonomia determina un mio decadimento sia fisico che mentale. Sono talmente abituato alla sua presenza che non mi accorgo nemmeno che ci sia; purtuttavia non cesso un solo istante, anche senza rendermene conto, di operare perché si completi, perché si perfezioni fino al punto di essere perfetta e possa esistere di per sé stessa e non vegetare nascosta, alla mia ombra. Allora potrò (o, a dir meglio, dovrò) veramente lasciarla andare per la sua strada senza alcun rimpianto, e potrò riposarmi, finalmente, ma solo a patto di avere, nel frattempo, realizzato in modo soddisfacente il mio secondo obiettivo e cioè: solo se sarò riuscito, per quel tempo, ad allevare e a formare completamente la seconda persona, quella che sta con me da meno tempo, ma che mi occupa più a fondo, e che oltre a richiedere più energie e determinazione da parte mia necessita anche di un fondamentale aiuto esterno."
"Ma insomma! Mi vuoi dire finalmente e senza giri di parole chi sono queste due persone che ti impegnano così tanto?" ha sbottato Dolfo, al quale, scarso di fantasia, gli indovinelli non piacciono affatto.
"Le persone alle quali mi riferisco non hanno un vero e proprio nome. Io le chiamo: il Morto e il Vivo. Il Morto è nato nello stesso istante in cui sono nato io e da allora vive con me. Letteralmente; al punto che sarebbe più opportuno dire che vive 'in' me". Quasi non mi accorgo di lui per come mi assomiglia. Gli altri non lo notano neppure: è talmente simile a me che si nasconde dietro la mia faccia. Gli altri vedono me e spesso non sanno di vedere lui. Da parte mia cerco di prepararlo bene, con cura, anche se mi accorgo che, per il momento non è ancora perfetto. Solo allora, quando sarà diventato, grazie alle mie cure incessanti e al tempo che passa (il tempo è un elemento fondamentale in questa impresa), il vero e unico Cadavere di me stesso, solo allora potrò lasciarlo al suo destino. A quel punto la mia opera sarà veramente compiuta e io potrò uscire di scena al punto che, c'è da scommetterci, nessuno riuscirà più a vedermi in giro.
Ma per quel giorno sarà estremamente importante, anzi di più: essenziale, che abbia terminato l'allevamento, la costruzione, la definitiva formazione della seconda persona; quella che mi preoccupa di più: il Vivo.
Questo, a differenza del Morto, non è da tanto che è oggetto delle mie cure, ma da quando l'ho scoperto (e non solo per mio merito) ho deciso di dedicarmi anima e corpo a lui, per irrobustirlo, nutrirlo, curarlo e per fare in modo che possa subentrare a me quando dovrò lasciar campo libero al Morto. Ovviamente anche se per semplicità lo chiamo il Vivo, egli non lo sarà che al completamento delle mie incessanti premure affinché si rafforzi, abbia fiducia in sé stesso e possa, in piena libertà di coscienza, iniziare la sua nuova Vita anche senza di me. Anzi, lo potrà fare solo senza di me. Da ciò avrai capito che dipende da me costruire sia il Morto che il Vivo e che devo compiere questi còmpiti in tempo utile il che vuol dire che dovrò aver preparato e formato compiutamente il Vivo prima del Morto (o almeno contemporaneamente). Se così non fosse, se non riuscissi a costruire il Vivo in tempo utile, tutta la mia vita non avrebbe avuto alcun significato. Il Morto subentrerebbe a me ed io, non avendo sottomano un Vivo al quale conferire quello che resta della mia esistenza, morirei definitivamente con lui. Ma non preoccuparti, lavoro alacremente su tutti e due e senza risparmiarmi. La mia preoccupazione è quella di frenare il Morto (che preme per uscire allo scoperto e mostrarsi al mondo) e accelerare la formazione del Vivo. Con questo genere di responsabilità sulle spalle capirai che sono occupatissimo e tempo da buttare via proprio non ne ho ed avrai anche compreso perché ti ho detto che la riuscita del mio obiettivo (formare il Vivo in tempo utile) è questione di vita o di morte. Anzi, invertendo i termini, di morte e di vita. Di Vita Eterna."
Potevo usare altre parole, d'accordo, ma Dolfo aveva capito lo stesso. L'ho visto dal suo sguardo, quello che mi ha lanciato quando ci siamo salutati:
"Ciao, amico" mi ha detto "credo che anche io dovrò cercare di svolgere quei certi còmpiti. Anzi: sarà bene che mi ci impegni da subito. Senza aspettare di essere in pensione".

domenica 19 febbraio 2012

La strada di casa

La Speranza
Cerchiamo di negarlo, cerchiamo di parlare d'altro, di sviare il discorso, di annullare il pensiero (tenace) che sopravviene proprio quando siamo meno pronti (non siamo mai pronti) ad accoglierlo, a indagarlo. Ma non c'è niente da fare; è più forte di noi rivolgere i pensieri dove costa meno (ed è meno opportuno) e far finta di niente. 
Ma non si può far finta di niente; e ognuno di noi, a prescindere dalle proprie opinioni (anche religiose) lo indovina, lo avverte; a volte lo teme ma sempre lo sa.
Purtroppo, lo sa. Sa che siamo in questo mondo (che non ci appartiene, che è per noi - a prescindere dalle èbeti critiche che l'affermazione può provocare - nient'altro che un territorio alieno, ostile, dove impera sovrano il Demonio) solo per una ragione, per uno scopo: utilizzare il breve periodo della nostra esistenza per conoscere noi stessi e il nostro Dio, e renderGli testimonianza. Convertirsi quindi, finché siamo in tempo, espiando così una Colpa collettiva, misteriosa e indicibile che ci contraddistingue e ci condanna in questa che è, veramente, miseramente, nient'altro e niente più che una "valle di lacrime".
La Morte, la fine della nostra Esistenza (ma non della nostra Essenza; la nostra Anima è immortale) ci attende, silente e sempre più vicina; di Essa sappiamo che è imprevedibile nei modi e nei tempi ma certa e ineluttabile.
Dovremo morire quindi, ma come ci presenteremo al terribile appuntamento? Saremo pronti quando arriverà il momento?Innanzitutto dovremo abbandonare i nostri cari e poi dovremo dare un addio alle mille cose che pazientemente, a volte ossessivamente, abbiamo accumulato. Le nostre "proprietà" come frettolosamente le definivamo, i nostri oggetti, quelli dei quali eravamo sempre stati così gelosi; le nostre raccolte di nullità (ora lo possiamo dire); i nostri tesori che tante cure a sacrifici ci hanno richiesto e che, dopo di noi, semplicemente non esisteranno più: siamo pronti a lasciare tutto questo? Ecco uno dei punti chiave, un punto sul quale non ci soffermiamo mai: con la nostra morte TUTTO finisce; con essa finiscono i mondi, le persone, i popoli, e ciò che è, ciò che è stato e ciò che sarà, perché sappiamo che più niente si potrà verificare, nulla più potrà accadere senza di noi, poiché siamo stati noi, (nell'esperienza personale e universale della nostra esistenza; personale, perché solo nostra, e universale, perché sempre ripetuta per ognuno con le stesse modalità) ad aver prodotto tutti gli eventi, ad aver creato la natura, le persone, i fatti e, in definitiva, la storia stessa che da un fatto oggettivamente immutabile, cronologico e globale si trasforma in una raccolta di sensazioni vissute soggettivamente in una esperienza effimera quale potrebbe essere stata la nostra vita. Del mondo conosciamo quello che sperimentiamo o che impariamo; comunque tutto ciò che di esso sappiamo lo abbiamo acquisito con i nostri sensi; i nostri sensi mortali. Finiti noi, finito il mondo intero. In questo mondo, dopo di noi, non ci sarà più niente e nessuno. Di più: non ci sarà mai stato niente e nessuno dato che un prima e un dopo non possono riferirsi a qualcosa che non c'è. Del resto un Poeta ha detto che "la vita è un sogno".
Ma poiché sappiamo che dopo questa che chiamiamo vita (ma potremmo anche chiamarla "malattia terminale" poiché si tratta di una vita a termine, provvisoria) ci attende un'altra conoscenza, un'altra esperienza, un'altra (questa volta vera e piena) Vita che ci appartiene e che oscuramente avvertiamo, ecco che ad essa, poiché non finirà mai, dobbiamo rivolgere le nostre attenzioni, qui e adesso. Dobbiamo quindi trovare, poiché l'abbiamo dimenticata, semplicemente la strada di casa; tutta la nostra breve esistenza non può avere altro scopo, altro obiettivo, altro traguardo che questo: cercare il modo di tornare a casa, alla nostra casa, quella dalla quale ci siamo allontanati ma in cui il nostro Signore anela di riaccoglierci (purché lo vogliamo). 
Abbiamo la mappa del percorso che dobbiamo intraprendere, e possediamo tutte le chiavi che ci occorrono per aprire le porte chiuse che troveremo ad ostacolarci nella nostra impresa. Non dobbiamo cedere; non dobbiamo interrompere il nostro viaggio ed abbandonarci a questo mondo che tenderà, perché per definizione a noi ostile, a distruggerci. Ma sappiamo come comportarci, sappiamo vedere, sappiamo leggere dentro noi stessi e se questo non basta a fortificarci, Gesù vivente in noi, i Vangeli, le Scritture, e la Storia stessa dell'Umanità ci rassicurano sul nostro destino che non è di disperazione e di oblìo ma di Vita vera, piena e completa nell'Eternità che ci è destinata e che (né per pigrizia, né per fallaci ragionamenti, né per paura, né per superbia né per semplice, umana, stupidità) non possiamo, non dobbiamo, permetterci di rifiutare.