Quali sono le cose che valgono veramente? Quali sono quelle che merita veramente di fare, di perseguire, quelle a cui tendere, alle quali impegnarsi? Le cose, i fatti, i pensieri, i ragionamenti, i comportamenti, gli esempi da privilegiare e, al contrario, quelli per cui non merita nemmeno spendere una parola, un pensiero, nemmeno un fugace giudizio fosse pure pieno di disprezzo. Gli anni passano e la mente rischia di perdersi nel mare di stimoli fasulli che ci sommerge. Possiamo resistere ed anzi maturare e trarre vantaggio dall'età solamente, prima riconoscendo, e poi aggrappandoci con tutte le nostre forze, a quello che veramente vale.

venerdì 25 novembre 2011

La Rivoluzione

Dunque, vediamo un pò di esaminare più da vicino la Grande Questione della nostra esistenza. 
Gli uomini nascono, crescono, decadono e muoiono; e tutto al di fuori e a prescindere da qualsiasi loro volontà. 
Non è questo che, in estrema sintesi, succede loro? E non è questo che, in estrema sintesi, succede a tutte le cose di questo mondo, mondo stesso (e Universo) compreso? 
Ma se fosse veramente così; semplicemente, assolutamente e solamente così, allora ci troveremmo di fronte a qualcosa di talmente assurdo che rasenta il ridicolo. Una assurdità che posso definire (usando la logica) "irragionevole". E poiché da ogni parte, specialmente da quelle che si autodefiniscono orgogliosamente aconfessionali, o agnostiche, o atee (posto che quest'ultimo aggettivo voglia significare qualcosa dato che, per negarla, riconosce l'esistenza di Dio) ci si raccomanda di restare sempre, in ogni ragionamento, nella sfera del razionale, lasciando perdere le professioni di fede o la "facile" (così la definiscono) adesione a verità rivelate ma che sfuggono al controllo dei sensi e della "Ragione", allora, considerando che la speculazione "logica" è indubbiamente la qualità umana più ragionevole, posso definire "assolutamente illogica" una definizione dell'esistenza che consideri solamente composta da questi dinamici e inevitabili accadimenti successivi (e quindi senza altre variabili che non siano questi 4 postulati incontrovertibili) la vita degli uomini.
Perché mai gli uomini avrebbero sviluppato la ragione, e quindi la possibilità di sviluppare ragionamenti logici, se poi questa qualità si dovesse arrestare alla semplice constatazione di essere, ognuno di noi, oggetto di una nascita decisa altrove, di una crescita ed un decadimento inarrestabili e di una morte certa, ineluttabile e definitiva? Una qualità o un attributo servono per essere usati. Come si giustifica che a noi si chieda di abdicare a ciò per cui siamo stati nominati e a rifugiarci in una constatazione di disperazione talmente semplice e terrificante che potremmo esser nati piante, o rocce o animali per elaborarla, salvo la "piccola" differenza che noi, e solo noi nell'Universo-Mondo, "conosciamo" il nostro destino e quello che ci attende.
Ma noi non siamo animali. Non siamo piante, né rocce né siamo assimilabili o confrontabili con qualunque altro essere animato o oggetto inanimato che esista, qui od in ogni altro luogo.
Noi possiamo pensare. Noi possiamo ragionare. E noi "dobbiamo" ragionare perché infine esistiamo solo per questo.
La prima cosa che gli uomini hanno accertato, l'unica della quale si sono sentiti assolutamente sicuri fin dai primordi della lor venuta su questa Terra; prima che si costituissero in comunità sociali, prima di qualsiasi loro espressione "culturale" e contemporaneamente alla loro riconoscibilità come esseri pensanti è stata l'accettazione e l'adorazione di un dio. Nel momento stesso che il primo uomo ha detto, guardandosi intorno: "io sono qui", ha poi aggiunto e sottinteso: "e un dio mi ci ha mandato"; quindi ha proseguito "rendo grazie a dio" perchè (ha pensato sperimentando la morte): "dopo che sarò morto mi chiamerà a sé". 
La prima, originaria religione è nata con l'uomo; è nata "nell'uomo" senza alcun bisogno (ancora) di essere "rivelata" e comprendeva l'adorazione di un creatore e la certezza di una vita eterna dopo la morte come sapevano bene gli uomini delle caverne, e gli Etruschi e gli Egizi e tutti i popoli antichi. Gli uomini "sanno" al di là di ogni "ragionevole" dubbio di essere figli di un dio creatore dell'Universo, e "sanno" che la loro esistenza su questa terra non è altro che un passaggio "obbligato" a causa di una colpa collettiva, atavica e misteriosa. "Sanno" anche che la loro esistenza altro non è che una prova; un lungo doloroso e difficoltoso esame in cui la loro anima deve dimostrare di essere degna di poter finalmente entrare nell'altra vita, nella pace, nella felicità della riunificazione con il loro dio. 
Tutti i popoli, le tribù, le nazioni, a prescindere dai tempi e dai luoghi in cui hanno vissuto hanno elaborato questo. Le prime esternazioni intelligenti della nostra razza, i primi elaborati "culturali", i primi documenti non sono stati altro che la testimonianza di questa consapevolezza (che siamo stati creati da un dio) e di questa certezza (che ci aspetta un giudizio ed una vita eterna dopo la nostra esistenza terrena).
E oggi, in piena epoca "moderna" (ma che diavolo vuol dire "moderna"? Tra duemila anni come si chiamerà quell'epoca: stramoderna, ultramoderna, o come?) c'è ancora qualcuno che parla di "progresso" (che, riferendosi soltanto a piccole modifiche utilitaristiche del modo di produzione e consumo di beni materiali, è assolutamente indifferente alla Grande Questione) e che dichiara (con sommo sprezzo del ridicolo) di mettere in discussione l'esistenza di Dio.
L'unica nostra salvezza, prima che una morte orribile, o ridicola, o squallida, o atroce ci precipiti nell'abisso di un Nulla che abbiamo evocato e suscitato, è quella di abbandonarci coscientemente, sicuri della nostra ragionevolezza e confidenti nella Sua Parola, nelle mani di Nostro Signore, che ci ama e non ci abbandonerà mai. Solo così daremo un senso alla nostra vita, solo così la renderemo "utile", solo così ci salveremo.